C’è un buon motivo per cui la prima parte di questo articolo insiste sull’importanza di definire il DeltaE, ovvero la differenza tra due colori, in uno spazio colore dotato di una metrica percettivamente uniforme: se vogliamo valutare quanto due colori siano dissimili, il criterio di valutazione dev’essere identico per tutti i colori.
Stimoli identici e stimoli simili
È poco accurato affermare che una terna di numeri (ad esempio, coordinate Lab) esprima un colore. Una terna non definisce in senso stretto un colore, bensì uno stimolo: ovvero qualcosa che provoca la sensazione di un colore dentro di noi. Da qui in avanti, pertanto, si utilizzerà il termine “stimolo”, riferendosi ai numeri.
Quando i matematici definiscono una distanza, o metrica, in uno spazio, impongono alcuni vincoli molto forti. Uno di questi è che tale distanza sia positiva per qualsiasi coppia di punti non coincidenti. Un altro è che tale distanza sia pari a zero se i due punti coincidono. Questo implica che non possono esistere punti distinti aventi distanza uguale a zero. In uno spazio colore, quindi, due terne di numeri diverse tra loro esprimono due stimoli diversi. A livello percettivo, però, quei due stimoli possono provocare la sensazione di due colori uguali.
L’unica possibilità di definire identici tra loro due stimoli è legata all’identità delle loro componenti. In Lab, la condizione è , dove s’intende che le componenti devono essere uguali a due a due: . A noi invece interessano stimoli che non coincidono numericamente ma tuttavia appaiono uguali a un osservatore.
Questo tipo d’indagine fa necessariamente parte della scienza sperimentale, perché l’unico modo per appurare se due stimoli appaiano uguali o diversi è interpellare uno o più osservatori. Questo è complicato dal fatto che le risposte potrebbero non essere univoche, quindi è necessario stabilire un criterio che possa valere in media e dare un significato generale all’analisi.
Entra in scena la JND
La psicofisica definisce una quantità denominata JND, che significa Just Noticeable Difference, ovvero “differenza appena riscontrabile”, spesso indicata in italiano con il termine soglia differenziale. Ne scrissi per la prima volta circa quattro anni fa, in questo post. Semplificando, si può affermare quanto segue:
Dato uno stimolo, la JND è la modifica minima necessaria che è necessario apportare affinché una differenza possa essere percepita almeno nel 50% dei casi.
Facciamo un esempio. Supponiamo di tenere in mano 100 g di sabbia. Quanta massa sarà necessario aggiungere affinché siamo in grado di percepire l’aumento? È abbastanza evidente che un’aggiunta di 10 g farà percepire una differenza. 1 g, forse. 0,1 g, probabilmente no. Un solo granello, assolutamente e definitivamente no. La JND può essere misurata, ma la differenza di stimolo causata da un granello di sabbia è certamente al di sotto della soglia differenziale.
Nel XIX secolo, Heinrich Weber formulò una legge basata su osservazioni empiriche, poi ridiscussa da Gustav Fechner e nota oggi come legge di Weber-Fechner. Rispetto a uno stimolo , la JND si può esprimere come una variazione d’intensità che chiameremo (Delta I). La legge di Weber-Fechner afferma che il rapporto tra la JND e lo stimolo di partenza è costante:
(1)
È una legge molto semplice, ma non va presa alla lettera perché non è né del tutto precisa, né universale. È valida, ad esempio e con buona approssimazione, nei confronti dell’intensità luminosa, ma non per la lunghezza d’onda della luce – ovvero la grandezza fisica che genera dentro di noi la sensazione di colore. La costante k varia a seconda dello stimolo esaminato.
Una soglia di tolleranza
La domanda che ci poniamo è relativa alla soglia di tolleranza che ci permette di definire “uguali” le sensazioni causate da due stimoli numericamente diversi. In altri termini, ci chiediamo quali stimoli risultino impercettibilmente diversi da uno stimolo di riferimento. Nell’ipotesi che la distanza definita nello spazio colore in cui lavoriamo sia percettivamente uniforme, la risposta è che quegli stimoli ricadono nell’insieme di punti che si trovano a una distanza inferiore alla JND dal riferimento dato. Ci serve una metrica percettivamente uniforme, altrimenti la soglia di tolleranza dipenderà da quale colore avremo scelto come punto di partenza.
Nella prima parte dell’articolo si è accennato al fatto che lo spazio colore Lab aspira a essere percettivamente uniforme, ma non lo è al 100%. Per questo motivo, la definizione originale di non ha le caratteristiche che vorremmo in tutti i punti dello spazio. La formula, per ricordarla, è la seguente:
(2)
Alla ricerca dell’uniformità percettiva
Le alternative per risolvere il problema sono due. La prima è modificare lo spazio Lab in maniera da renderlo percettivamente uniforme quando si utilizza la metrica definita dalla (2); la seconda è modificarne la metrica introducendo dei fattori correttivi nella definizione di , cercando di correggere la formula originale in modo che risulti più adatta al nostro scopo. La scelta è caduta sulla seconda opzione.
Per essere precisi, la convenzione di chiamare la distanza tra due colori o DeltaE non è del tutto corretta. Quando la CIE definì lo spazio colore Lab nel 1976 (il nome ufficiale è CIE 1976 (L*, a*, b*)), diede a questa quantità il nome formale . Il libro Digital Color Imaging Handbook (Gaurav Sharma, 2003, CRC Press) riporta l’osservazione sperimentale per cui il valore di della soglia JND corrisponde a circa 2,3. Per questo spesso si afferma che uno stimolo il cui valore di rispetto a uno stimolo di riferimento sia inferiore a 1 vada considerato come un’ottima approssimazione. Anche questa affermazione però va interpretata nel contesto giusto, e questo è un argomento che affronteremo alla fine dell’articolo.
Due nuovi DeltaE
La formula di non è accurata, perché dà un peso eccessivo ai colori saturi. Vennero dunque proposte due formule alternative, una nel 1994 e una nel 2000. Lo scopo di entrambe è quello di correggere la non-uniformità percettiva della metrica originale definita dalla (2). Il risultato è che esistono due metriche oltre a quella standard, e naturalmente generano valori diversi a partire dagli stessi punti.
La prima, identificata dal simbolo , include dei coefficienti che variano a seconda dell’ambito di applicazione (in particolare, differiscono tra le arti grafiche e l’ambito tessile). La seconda è invece identificata dal simbolo ed è stata introdotta perché la versione precedente non aveva risolto del tutto i problemi.
Entrambe le formule sono notevolmente complesse, e per questo non vengono riportate in questo articolo. Chi fosse interessato le può trovare qui.
A puro titolo di esempio, consideriamo due stimoli definiti in Lab dalle terne (50, 3, 0) e (50, -3, 0). I tre DeltaE descritti producono questo risultato:
(coefficiente: arti grafiche)
La sensibile differenza dei tre risultati può lasciare perplessi, ma è un dato di fatto. Di norma viene indicato a quale tipo di DeltaE ci si riferisce, ma il più diffuso oggi è il più recente .
Una prova con i numeri
La figura sottostante riproduce i due campioni definiti nella sezione precedente: la differenza è chiaramente visibile. Il quadrato di sinistra (a > 0) tende al magenta, quello di destra (a < 0) tende al verde. Qualsiasi versione di DeltaE decidiamo di usare, siamo palesemente molto al di sopra della JND.
A titolo di prova, qui di seguito riportiamo due campioni i cui stimoli sono definiti da (70, 0, 0) e (70, 0, 1) rispettivamente, a sinistra e a destra. Si nota la tendenza al giallo del quadrato di destra oppure no? Nel caso che si noti, la risposta è “a volte”, “sì” o “inequivocabilmente sì”?
I tre DeltaE di questi due stimoli hanno i seguenti valori:
(coefficiente: arti grafiche)
Se crediamo a quanto affermato, siamo al di sotto della JND e i due stimoli dovrebbero apparire uguali: ovvero, dovremmo vedere un unico rettangolo definibile come “grigio”. Inoltre, è più facile notare le differenze se due campioni sono affiancati: ammesso e non concesso che una differenza sia visibile nella figura precedente, risulta visibile anche in quella successiva? I quadrati sono identici a quelli della figura precedente.
Applicazione: la validazione del profilo di un monitor
I software di profilazione del monitor permettono di lanciare una procedura di validazione. Questa serve a misurare l’aderenza del comportamento reale del monitor alla descrizione fornita dal profilo. Il profilo ICC del dispositivo viene realizzato sulla base di un certo numero di misure: il software invia al monitor una serie di terne RGB, che vengono rappresentate direttamente (senza conversione). I valori colorimetrici degli stimoli generati dalle terne vengono misurati per mezzo di un colorimetro oppure di uno spettrofotometro. Questi valori, di solito espressi in coordinate Lab o in uno spazio colorimetrico chiamato XYZ, vengono elaborati per costruire il profilo ICC che descrive lo spazio colore del monitor.
La validazione è una procedura simile, ma ha uno scopo diverso. Viene nuovamente effettuata una serie di misure, e i risultati vengono confrontati con ciò che il profilo predice. Campione per campione, viene calcolato il DeltaE (di solito nella variante , o in più varianti) per verificare quanto ciascun campione misurato si discosti da ciò che il profilo prevede.
Il Delta E dei singoli campioni
Questa schermata (tratta da ColorNavigator 6, il software di calibrazione e profilazione di EIZO), mostra il dettaglio delle misure di validazione sui singoli campioni (in totale trentadue). Nell’ordine: la terna RGB inviata al monitor, il valore Lab atteso (target), il valore Lab misurato (measured) e le tre varianti del DeltaE affiancate dal DeltaH, una misura di variazione della tinta derivata dalle definizioni di L, a e b. Da questa serie di valori viene calcolato il DeltaE medio.
Il DeltaE medio
In questa schermata, il software mostra diversi risultati di validazione in ordine cronologico. Il DeltaE è calcolato in base alla definizione del 2000 e riporta il valore massimo riscontrato sui campioni, il valore medio e il valore per il bianco. Da notare la terza riga: i numeri enormi derivano da una validazione effettuata con un colorimetro poi risultato difettoso. In nessun caso si potrebbero accettare deviazioni simili.
Di conseguenza, quando parliamo del DeltaE di un monitor, ci riferiamo in realtà alla media di numerosi DeltaE, tanti quanti sono i campioni utilizzati per la validazione. Un DeltaE basso significa quindi che il monitor, in media, riproduce i colori con poco spostamento rispetto a ciò che il profilo colore predice. In alternativa, significa che il profilo colore è accurato nella sua descrizione del monitor, perlomeno in media.
Il limite della media
Una media però non dice tutto. Potremmo ipotizzare, ad esempio, che un profilo descriva molto bene tutte le tinte tranne alcune appartenenti all’area del blu. Il risultato sarà che i DeltaE calcolati dal programma di validazione saranno piccoli ovunque tranne che per quelle tinte: il DeltaE medio, però, potrebbe risultare basso se i campioni con DeltaE elevato sono pochi rispetto al totale. In pratica, potremmo avere un monitor molto accurato ovunque tranne che in certe sfumature di blu.
Questo esempio mostra che il DeltaE è un buon parametro per descrivere il comportamento medio di un dispositivo, ma è difficile concludere che quel dispositivo sia ben descritto da un profilo esaminando soltanto il DeltaE. Conviene dare a quel valore il significato che ha, senza considerarlo un sacro Graal. È evidente che se il DeltaE medio ha valori troppo alti questo indica che qualcosa non va, ma preoccuparsi troppo se il DeltaE medio non scende al di sotto di un valore pari a 2 o anche 3, è probabilmente eccessivo.
Applicazione: la stampa offset
In maniera simile, è possibile valutare la variazione cromatica dei colori effettivamente stampati rispetto a uno standard di riferimento. La ben nota norma ISO 12747-2, che regola la stampa litografica offset. prevede limiti di variazione piuttosto ampi per i quattro colori di processo CMYK. Ci si riferisce sempre al risultato della loro stampa con massima copertura (100%).
In particolare, la norma prevede che debba valere per ciascun inchiostro in fase di approvazione delle stampe a confronto con una prova certificata e di avviamento; in fase di produzione deve valere invece (con l’eccezione dell’inchiostro Y per cui si permette nuovamente ). Non si tratta di variazioni piccole, e questo dimostra che la “resa perfetta” del colore nella stampa litografica, stando alla normativa ISO, è un concetto piuttosto elastico.