Per compiacere un’ombra

Print Friendly, PDF & Email

 

Avrei voluto dedicare l’ultima domenica di giugno (che è anche lo spartiacque di metà anno) a registrare lo screencast del doppio contest lanciato qualche giorno fa sul gruppo CCC di facebook. Mi sono accorto, però, che è da molto tempo che non scrivo un articolo tecnico sul blog e quindi ho cambiato programma. L’occasione è nata spontaneamente da una passeggiata solitaria svoltasi proprio il 30 giugno in una località che vale la pena di descrivere.

Rovereto è la città principale della Vallagarina. Circondata da montagne e lambita dal fiume Adige, offre diverse località amene dove in estate si può cercare un po’ di riparo dalla canicola. Il lago di Cei è una di queste: si trova nel comune di Villa Lagarina, che confina con quello di Nogaredo in cui vivo, a poco più di 900 metri di altitudine. Dalla strada principale che conduce al lago si dirama una seconda strada: poco più che un sentiero asfaltato che si snoda attraverso i boschi per qualche chilometro. Chi lasci l’automobile in località Prà dell’Albi e abbia voglia di ansimare per un po’ lungo un sentiero percorribile solo a piedi, raggiungerà (forse) San Martino. Si tratta di uno spiazzo nascosto nel bosco al quale si arriva soltanto se si conosce il sentiero che lì conduce. In mezzo allo spiazzo, una chiesetta romanica risalente al X secolo.

San Martino è un luogo particolare, di grande potenza emotiva. Isolato da tutto, è quasi perennemente deserto. Solo pochi turisti, principalmente locali, si avventurano lungo il sentiero la domenica, anche perché l’area di Cei è assai poco popolata. Occasionalmente, ma è raro, lo spiazzo si riempie di vita in occasione di qualche festa peraltro difficile da organizzare perché l’unico modo per far giungere a destinazione merci e oggetti utili è di portarli a spalla. L’ho visto popolato una sola volta, in occasione di uno dei miei ultimi concerti che si tenne lì nel luglio del 2010.

Tecnicamente sto scrivendo mentre già è il 1 luglio, ma è notte e quindi per me “ieri” è “oggi”. Sono tornato a San Martino, oggi: macchina fotografica nella borsa e cavalletto in spalla. Erano circa le una di pomeriggio: cielo terso, temperatura ideale, nessuno in giro. Inizia l’ascesa, faticosa. Per iniziare, uno scatto che poco ha a che fare con ciò di cui discuterò a breve: la fotografia è stata scattata a poche decine di metri dall’inizio del sentiero che porta alla mia destinazione, esattamente all’incrocio del bivio che conduce verso le località Cimana, da un lato, e Trasiél, dall’altro.

Quante variazioni di verde riuscite a contare?

Mi colpisce sempre la grandissima varietà di verdi che la vegetazione è in grado di offrire e che, in media, una fotocamera non ha grande voglia di riprodurre. Per i duri e puri, posso rivelare che l’immagine qui sopra è stata realizzata in maniera semplicissima: due blend di canali e una sola applicazione del Modern Man from Mars di Dan Margulis, seguita da un opportuno sharpening. Secondo voi, quale canale può produrre una vegetazione simile, in luminosità? È più probabile che io abbia fatto un blend al 100% o al 50%? E quale canale ho utilizzato nella luminosità, in metodo di fusione Scurisci, per mantenere un contrasto credibile tra il cielo e la nube?

Ma torniamo a noi. Arrivato a San Martino, oggi, ho avuto una sorpresa inaspettata: la luce del sole cadeva dalla parte sbagliata. La mia idea era quella di fotografare la chiesa ma la facciata principale era, purtroppo, in ombra. Una fotocamera, in genere, tende a esagerare il contrasto tra le luci e le ombre in condizioni di luce come questa, perché la gamma dinamica è estesa; l’occhio si comporta in maniera assai meno lineare, e la percezione globale della scena è meno dura di quanto restituito dal sensore. Il cielo, ad esempio, è blu – non bianco come nella maggior parte delle foto scattate in queste condizioni. L’alternativa è quella di mantenere il cielo blu, ma di perdere il soggetto, che diventa una perfetta ombra, al limite della leggibilità. La tecnica canonica, in questo caso, è quella dell’HDR – che personalmente non mi piace, ma che ho comunque pensato di attuare, in un caso come questo, nel caso avessi ottenuto uno scatto meno buono del previsto.

Qui di seguito, le tre esposizioni destinate a una vaga idea di HDR: 100 ISO, f5, e rispettivamente 1/400, 1/200 e 1/100 di secondo. Uno stop di differenza tra uno scatto e l’altro, con l’esposizione nominale corretta al centro.

Tre esposizioni per un possibile HDR. Pessima idea, in retrospettiva.
Tre esposizioni per un possibile HDR. Pessima idea, in retrospettiva.

Vi risparmio la visione del risultato migliore che sono riuscito a ottenere utilizzando HDR Pro in Photoshop CC nel tentativo di combinare questi scatti. Ho smesso di provare dopo dieci lunghissimi minuti di spostamento cursori: è ben noto che Photoshop non è esattamente il software migliore con cui realizzare immagini HDR, ma in questo caso davvero la strada era impraticabile. Ho quindi pensato di utilizzare un metodo alternativo.

Non sta scritto da nessuna parte che sia necessario un software opportuno, tantomeno una funzione specifica di Photoshop, per unire scatti aventi densità diverse. Se dovessi scegliere uno dei tre scatti mostrati qui sopra senza alternative, sceglierei quello centrale. Il soggetto, ovvero la chiesetta, è troppo scuro in quello sottoesposto e la vegetazione è troppo chiara in quello sovraesposto. Detto, fatto: ho aperto il file con l’esposizione corretta in ACR 8.1, ho realizzato una delicata curva sul verde sempre in ACR per ridurre una leggera tendenza dell’immagine verso tale tinta, e ho aperto l’immagine direttamente in Photoshop CC – in sRGB, vista la destinazione per questo articolo. Subito dopo, un secondo sviluppo, con l’esposizione in ACR abbassata al valore -2,00. Qui di seguito, i due risultati.

Due sviluppi diversi in ACR: esposizione 0,00 (sopra) e -2,00 (sotto).
Due sviluppi diversi in ACR: esposizione 0,00 (sopra) e -2,00 (sotto).

Bello il cielo nella seconda immagine, no? Il problema è che il soggetto è praticamente sparito, come purtroppo spesso accade. Ah, la frustrazione: recarsi in un luogo per cercare di ritrarre ciò che poi, si scopre, sembra non essere ritraibile. Ma come si fa a compiacere un’ombra, allora?

Tre ingredienti: pazienza, devozione, inventiva. Ho applicato l’immagine deliberatamente sottoesposta su un nuovo livello, sopra quella corretta. Maschera di livello e applicazione a essa del canale B composito. Il canale è molto chiaro nel cielo e relativamente scuro in ogni altra zona: dal momento che ciò che davvero vogliamo fondere è il cielo, è il miglior candidato ed è curvabile in maniera semplicissima: una curva elementare, di fatto un segmento di retta, porta il cielo praticamente al bianco e il resto al nero, nella maschera. Il problema risiede nel fatto che la maschera va sfocata, pena brutte posterizzazioni sopratutto nell’area degli alberi. Il sottoproblema è che la sfocaura, in un caso del genere, conduce ad aloni atroci che, oltre che antiestetici, sono il segno rivelatore del nostro trucco.

Esiste una soluzione semplice: la maschera va sfocata con il filtro Controllo sfocatura (ho utilizzato 50 px nell’originale) e non con il parametro Sfuma del Pannello Proprietà. Questo perché abbiamo bisogno di manipolare ulteriormente la maschera, con un comando antico ma utilissimo. Subito dopo la sfocatura, Menu Modifica —> Dissolvi. Selezioniamo il metodo di fusione Schiarisci. Il risultato è che la maschera, pur sfocata, recupera i bordi e gli aloni sopravvivono non nel cielo ma nel soggetto, dove sono praticamente invisibili. Questo il risultato:

La maschera realizzata come descritto nel testo. La sfocatura va sottoposta al comando Dissolvi in metodo di fusione Schiarisci.
La maschera realizzata come descritto nel testo. La sfocatura va sottoposta al comando Dissolvi in metodo di fusione Schiarisci.

A questo punto abbiamo finito. Al 100% di opacità, il livello utilizzato per salvare il nostro cielo è troppo intenso: c’è qualcosa di poco credibile nell’equilibrio tra il soggetto e il cielo. Ho preferito ridurre l’opacità del livello al 50%, ed ecco il risultato.

La fusione descritta nel testo, più una piccola curva per schiarire un po' il soggetto.
La fusione descritta nel testo, più una piccola curva per schiarire un po’ il soggetto.

Vorrei far notare come le nubi, visibili tra il tetto della chiesa e il tronco a destra, e in una piccola area dietro gli alberi a sinistra, siano state recuperate dallo scatto sottoesposto: nell’originale erano praticamente invisibili.

Vorrei vedere ancora un po’ di profondità, in questo scatto. La mia scelta è stata quella di applicare il MMM (Modern Man from Mars) dal pannello PPW, senza Color Boost, e subito dopo l’algoritmo di sharpening dallo stesso pannello. La selezione alla base del MMM è stata una generosa area rettangolare sulla parte frontale del muro. Tutti i parametri di opacità dei livelli creati dalle due azioni sono stati da me accettati con i loro default. L’immagine è finita.

La mia versione finale: MMM e sharpening.
La mia versione finale: MMM e sharpening (cliccare per ingrandire).

Credo che si tratti di una versione migliore di quella che avevo ottenuto con un semplice sviluppo diretto. E anche se non l’avete vista, credetemi: è di gran lunga migliore di quella ottenuta con una tecnica HDR meno trasparente e più convoluta di questa.

Compiacere un’ombra (in senso lato il soggetto della fotografia è un’ombra) non significa solo darle il giusto peso. In questo caso specifico significa anche non negarle una luce, ovvero il cielo, perché nell’eterno principio del contrasto simultaneo un’ombra è tale solo nel momento in cui c’è una luce contrapposta che la caratterizza. Personalmente sono soddisfatto del risultato, visto che la scena è ancora ben viva nei miei occhi: San Martino, oggi, nonostante il batticuore finale dovuto alla salita davvero ripida, sembrava mostrare i suoi undici secoli di storia con una certa fierezza, come se portasse le impronte di tutti i passi che si sono intersecati sui sentieri che vi conducono e attorno ai vecchi muri che miracolosamente ancora reggono. Mi è parso addirittura, in un istante preciso, di sentire le note di una canzone di Tom Horn, l’artista inglese che si era esibito subito dopo di me nel 2010 (se siete curiosi, la locandina originale dell’evento si trova qui). Ricordo che, mentre chiacchieravo con lui, scivolai dal sentiero stretto su cui ci trovavamo – tendo sempre a scivolare, sono veramente poco efficiente quando si parla di controllo del corpo. Già che c’ero, ho scattato una fotografia in memoria dal punto della mia caduta, e ne vedete una sezione in copertina di questo articolo.

Magari, se passate da quelle parti, prendetevi un’ora di tempo e fate un giro – ne vale la pena. Se siete fortunati, insieme a undici secoli di passi e fantasmi di vario genere, troverete ancora le impronte del mio cavalletto.

Buona seconda metà del 2013 a tutti, e a presto.
MO

Aggiunta successiva (02.07.2013)

In uno dei commenti, Claudio Stefanini suggerisce che nella mia versione il cielo non sia sufficientemente incisivo e chiede di vedere il blend delle due versioni con il cielo al 100% e non al 50%. Ho rifatto lo stesso tipo di procedura, visto che non avevo salvato i livelli, e il risultato è riportato qui sotto. Può piacere, ma a mio parere il cielo diventa troppo dominante e opprime un po’ la scena, senza contare che a ben guardare si verificano dei fenomeni di micro-posterizzazione nella zona delle foglie che andrebbero affrontati in maniera diretta. Penso che alla fine la scelta sia legata al gusto e a ciò che vogliamo esprimere con l’immagine, ma capisco il punto di vista di Claudio. Siamo, a mio parere, in piena area di gusto e interpretazione personale. (Claudio: le ombre sono lievi, il più delle volte, dobbiamo tenerne conto.)

La versione con il cielo sottoesposto, ma con un blend al 100% invece che parziale. (Cliccare per ingrandire.)
La versione con il cielo sottoesposto, ma con un blend al 100% invece che parziale. (Cliccare per ingrandire.)

25 commenti su “Per compiacere un’ombra”

  1. Caro Marco, dopo l’ombra, vorresti “compiacere la mia curiosità? 🙂
    Sono un neofita, e so quanta pazienza ti ci vuole, per cui sarò breve.
    Per quanto riguarda la prima foto (quella con gli alberi) hai usato un blend col canale K al 50%?
    E per il cielo, hai usato il canale R?
    Ti prego, non inorridire! 🙂

    Gran bell’articolo.

    1. Ciao Antonio,
      no: la prima foto è stata realizzata con un semplice sviluppo in ACR e il bilanciamento del bianco impostato sulla luce diurna; non c’erano tanti margini di errore in questa prassi, visto lo scatto incredibilmente semplice. Quello che mi mancava era però un po’ di “presenza” nella vegetazione. L’effetto che vedi è stato ottenuto applicando il canale B (di RGB) a un livello duplicato e posto in metodo di fusione Luminosità, poi il canale R in scurisci (per il cielo) e abbassando l’opacità del livello al 50%. La componente gialla della vegetazione è di norma elevata e per questo il canale del blu è invariabilmente scuro nelle piante; ma, proprio perché rende conto delle differenze tra le varie tonalità di verde è anche molto movimentato. Quel canale va sempre preso con le pinze, perché spesso contiene parecchio rumore, ma in questo caso, a 100 ISO e su un soggetto molto ricco di dettagli, il problema non sussiste.
      Quello che suggerisci, ovvero l’applicazione del canale del nero, avrebbe però un senso preciso: se lo fai, desaturi e scurisci le aree già desaturate e scure, e quindi aumenti di fatto la gamma dinamica dell’immagine, trascinando alcune componenti verso il basso, per così dire, e lasciandone invariate altre. Se esageri, tutto diventa difficile da credere: ombre chiuse, colori opachi. Ma con la generazione del nero giusta (vedi “Bogus Black”) può funzionare molto bene. Il falso profilo CMYK e, in maniera diversa, l’azione H-K del flusso di lavoro PPW vanno proprio in questa direzione e sono certamente un’opzione.
      Grazie del tuo apprezzamento, davvero.

      1. Grazie, Marco, per la generosa attenzione.
        La cosa che più mi affascina, nel metodo che applichi, è che il sotteso rigorore tecnico invece di imbrigliare la mente, la libera.

        1. Antonio, in questo modo mi apri la porta di un campo che esula parecchio dalla tecnica stessa e sfocia nella filosofia. Ammetto la mia cronica debolezza verso questo genere di considerazioni, quindi aggiungo un pensiero probabilmente irrilevante. In questi giorni, con l’uscita di Photoshop CC (dell’intera nuova suite, in realtà) si vedono ovunque post che discutono le novità. Io ammetto che possano essere utili, in certi contesti, anche se non ho visto nulla che mi abbia fatto saltare in piedi per la sorpresa. Il problema a mio parere non sono le novità, quanto il fatto che la ricerca delle stesse possa diventare spasmodica e trasformarsi nell’unica domanda rilevante che siamo in grado di porci. La mia personale domanda è molto più semplice, almeno in apparenza, e riguarda non tanto ciò che è nuovo quanto ciò che è migliore. Se mi chiedo «c’è qualcosa di meglio che posso fare?» ho l’impressione che questo causi un cambiamento di direzione e che la ricerca diventi un po’ più profonda e più personale in questo modo.
          Mi rendo anche perfettamente conto di come questa sia solo una posizione e non mi aspetto che sia condivisibile in generale, ma credo che le due visioni siano in ultima analisi incompatibili. Io, almeno fino che avrà senso, cercherò di scavare verso il basso piuttosto che in larghezza.

          1. Marco, la tecnica, a mio parere, acquista senso se a guidarla c’è un’idea e se non limita quell’idea. Ricordo quando dovevo decidere quale CAD adottare per il mio lavoro (ebbene sì, lo confesso: sono architetto 🙂 ). Ho sistematicamente scartato quelli che mi obbligavano a “rinunciare” o a ridurre le pretese delle mie idee: meglio la matita! Scegliere gli strumenti più idonei per rispondere alla domanda: “C’è un modo migliore per ottenere la cosa che mi propongo di fare?” fa parte dell’arte in senso lato, della creazione a tutti i livelli. Penso che un ricercatore di senso, in definitiva, interpella sì la tecnica, ma per plasmarla.
            E con questo, giuro di non abusare oltre della tua “cronica debolezza”.

  2. Ciao Marco,
    queste ‘alchimie’ tra i canali, queste manipolazioni sciorinate con disarmante nonchalance mi lasciano sempre piacevolmente turbato, stordito direi. E’ un approccio molto stimoante ma che può portare a un grande disordine – e a grandi frustrazioni – se non si conosce bene cosa e come fare. Davvero molto interessante, non si finisce mai di imparare.

    1. Filiberto,
      ammetto che questo articolo è anomalo, perché non ho svolto tutto passo dopo passo ma ho preferito andare diritto al sodo. Le regole in realtà sono abbastanza poche: ad esempio, quando nella prima immagine scelgo il canale B per una fusione (cosa che ho scritto nella risposta ad Antonio, non nell’articolo) lo faccio perché so che è quello più utile in questo contesto, pur essendo il più scuro; e quando scelgo R per il cielo, di nuovo, so che è il canale che separa meglio l’azzurro dalle nubi, che sono sostanzialmente vicine alla neutralità. Questo dopo un po’ diventa una seconda natura, e io suggerisco sempre di cercare di immaginare i canali senza vederli a priori. Sto esportando ora lo screencast del contest di giugno (per ora solo l’immagine del rinoceronte) e lì è più difficile decidere, perché la variazione tra soggetto e sfondo, che era il problema principale da affrontare, non è così ovvia da isolare – anzi.
      Nella mia esperienza, la teoria si impara in fretta; per arrivare a padroneggiare i canali poi serve molto esercizio individuale. Mi sembra che questo esempio sia interessante non tanto per l’utilizzo dei canali (è una cosa che faccio in realtà solo sulla maschera, basandomi sul fatto che il canale B è sempre il più chiaro di tutti nel cielo) quanto per l’idea che si possano realizzare degli pseudo-HDR senza troppa fatica semplicemente utilizzando la gamma dinamica del file raw, che è più estesa di quella di un jpeg o di un tiff prodotto dalla fotocamera. Il cielo che si vede nella versione finale è in qualche modo un fantasma, nascosto nell’immagine originale ma che va evidenziato con una sottoesposizione artificiosa. Il soggetto, in quel caso, diventa inaccettabilmente scuro, ma è il prezzo da pagare per salvare sia le parti chiare (il cielo, in questo caso) che le ombre. Per compiacere un’ombra, appunto – anche se ho usato questo termine in maniera molto libera in questo caso.
      Grazie davvero del tuo apprezzamento.

  3. Ottimo lavoro, specialmente quello per evitare gli aloni con la maschera, usando dissolvi. Però nel risultato finale i miei occhi vedrebbero più naturale un cielo più carico, l’immagine finale da a me (quindi soggettivamente) l’idea che “manchi” qualcosa. Si potrebbe vedere l’immagine col cielo al 100% dalla foto sottoesposta di sue stop? grazie Marco!

    1. Claudio, ho aggiunto la versione che richiedi in coda all’articolo, con una considerazione sul perché io non la userei. Ma la tua è un’osservazione sensata e lecita che apre diverse domande di tipo percettivo non proprio banali. Grazie!

  4. Ciao Marco.

    Ho preso la tua immagine centrale che volevi usare per l’HDR e ho fatto i seguenti passaggi:

    1) Duplica livello e rinomina livello come “Sottrai Inverso”
    2) Invertire il livello “Sottrai Inverso” (ctrl + I per chi ha windows…)
    3) Metodo fusione “Sottrai Inverso” in Sottrai.
    4) Aggiungi maschera
    5) Immagine –> applica immagine –> Livello: Unito; Canale RGB; Fusione: Normale; Opacità: 100.
    6) Sulla maschera usare filtro Controllo Sfocatura con raggio pari alla rad. quadrata della diagonale dell’immagine.
    7) Fare una “fotografia” con ctrl + shift + alt + e.
    8) Rinominare il livello come “Sottrai inverso 2”
    9) Ripetere i punti da 2 a 6
    10) Ripetere punto 7
    11) Nominare il livello come “Moltiplica”
    12) Metodo di fusione su “Moltiplica” in moltiplica.
    13) Aggiungi maschera di livello su “Moltiplica”.
    14) Ripetere punto 5.
    15) Ripetere punto 6 prima sulla maschera e poi sul livello.
    16) Ripetere punto 7
    17) Nominare il livello come “Luce Soffusa”
    18) Metodo di fusione su “Luce Soffusa” in Luce Soffusa.
    19) Aggiungere maschera di livello su “Luce Soffusa”
    20) Ripetere punto 5.
    21) Ripetere punto 6 solo sulla maschera.

    Dopo questi passaggi il cielo è azzurro e alcune parti dell’immagine hanno modificato la luminosità e intensificato il colore.
    Non è ovviamente l’immagine definitiva e la procedura può essere sicuramente migliorata, ma trovo la procedura interessante e volevo sapere cosa ne pensi.

    1. Roberto, grazie mille del suggerimento. Appena posso provo a vedere e ne discutiamo.
      A presto.

    2. Come promesso, ho provato questa tecnica. Il risultato è buono, a parte un prevedibile problema di aloni derivante dalle molte sfocature. In questo caso specifico, e credo che questo derivi principalmente dalla sfocatura del livello moltiplicato, l’alone modifica parecchio il colore attorno ai bordi (vedi ad esempio il cielo: all’interfaccia con la chiesa e gli alberi diventa meno blu a causa della componente gialla che filtra. Probabilmente lavorando su sfocature alternative, dissolvenze o simili si riesce a ridurre il problema. Un’osservazione: il punto 15 potrebbe essere ridondante. Se il livello e la maschera sono collegati, la sfocatura del livello sfoca anche la maschera; se invece si sfoca la maschera direttamente, il livello rimane intatto. Per questo motivo, sempre nell’ipotesi che il collegamento esista, in questo passaggio la maschera viene sfocata due volte, e non sono sicuro che sia quello che vogliamo. Al punto 15, mi limiterei quindi a sfocare direttamente il livello, perché questa operazione si trascina dietro la maschera automaticamente. Bisogna anche prestare attenzione alle ombre, che tendono a chiudersi parecchio laddove sono già scure. In ogni caso è una tecnica da studiare attentamente. Il passaggio più interessante è legato alla sottrazione del livello invertito. Grazie ancora!

      1. Grazie a te per il suggerimento sul punto 15. In effetti sfocando solo l’immagine e lasciando la maschera non sfocata, le ombre si chiudono di meno e la stessa cosa se si sfoca il livello al posto della maschera nel livello “Luce Soffusa”.

        La sottrazione è un metodo di fusione che uso spesso ultimamente perché ho trovato un modo di schiarire le parti scure e scurire le parti chiare senza passare per le curve e che mi è molto utile nelle foto di ritratti per lisciare la pelle senza far sparire la trama della pelle.

        La sottrazione dell’inverso ho visto che tende a scurire e saturare, cosa che è molto utile per far uscire fuori colore dove l’illuminazione è maggiore. Il rovescio della medaglia è quello che tende a far chiudere le ombre e bisogna quindi applicare una maschera per far si che la sottrazione operi solo dove serve. E di sicuro tu sei molto più esperto di me nell’applicare correttamente le maschere.

        1. Intendevo una cosa diversa… la maschera va sfocata, come sempre quando si fa una fusione che comporta l’unione di due luminosità molto diverse, altrimenti si rischia la posterizzazione. Quello che dicevo è che se il livello e la maschera sono collegati (in pratica, se c’è il simbolino della catena tra essi), sfocando il livello si sfoca automaticamente anche la maschera. Il viceversa non è vero. Quindi, se quella è la situazione, sfocando prima la maschera e poi anche il livello, in pratica si sfoca la maschera due volte.
          A presto.

          1. Ok, tutto chiaro.

            Una domanda: secondo te il raggio della sfocatura è appropriato? Io uso spesso la radice quadrata della diagonale di un’immagine come raggio di sfocatura, ovviamente approssimando il valore. Tuttavia non sono così esperto da capire quando una sfocatura è eccessiva e quando è insufficiente.

          2. Può essere un punto di partenza, una specie di numero guida, considerando che la sfocatura deve aumentare in raggio all’aumentare delle dimensioni dell’immagine. Però direi che il raggio corretto dipende anche dal contenuto dell’immagine e da cosa consideriamo alte e basse frequenze spaziali. Molte volte é una scelta difficile: non è ovvio decidere quale tra due sfocature dia il risultato migliore, anche se i risultati sono diversi tra loro.

  5. Scusami ancora Marco.

    Ho fatto un’ulteriore passo alla mia procedura che consiste in questo:

    1) dopo aver fatto tutti i passaggi precedenti, inserire un livello vuoto sopra il livello sfondo nominandolo “Grigio”
    2) Sul livello “Grigio” fare Modifica –> Riempi –> Grigio al 50%.
    3) Unire tutti i livelli escluso lo sfondo in modo che rimangano solo due livelli, lo sfondo e il livello appena unito rinominandolo “Sottrazione inversa”.
    4) Invertire il livello “Sottrazione inversa” e mettere come metodo di fusione Sottrai
    5) Aggiungi maschera di livello.
    6) Immagine –> applica immagine –> Livello: Unito; Canale RGB; Fusione: Normale; Opacità: 100.
    7) Sfocare la maschera di livello.
    8) fare una fotografia (ctrl + shift + alt + e), rinominare il nuovo livello come “Moltiplica” e mettere metodo fusione moltiplica
    9) ripetere i punti 5 e 6.
    10) sfocare il livello “Moltiplica” selezionando l’immagine e non la maschera.

    Ora l’immagine ha aloni molto meno evidenti, le ombre non si sono chiuse e il cielo è azzurro.

    Volendo si può aggiungere più contrasto con un altro livello “Luce Soffusa” aggiungendo la maschera e sfocandola.

    Ciao,
    Roberto.

    1. Ho finalmente provato questa variante, Roberto: sì, è interessante. Appena ho tempo mi piacerebbe indagare di più cosa succede nella sottrazione esattamente, perché il grosso deriva da lì – tutto il resto, come moltiplicazione e il metodo di contrasto è noto e abbastanza standard. Penso che si possa migliorare il primo passaggio, che è quello che fa la differenza rispetto all’approccio solito. Vorrei indagare anche un possibile ruolo per il metodo di fusione Dividi, che non è molto sfruttato. A presto e grazie ancora.

      1. Da quello che ho capito la sottrazione operà così: sottrae al valore da 0 a 255 di ogni singolo canale del livello sottostante, il valore da 0 a 255 del canale soprastante. Se il valore da 0 a 255 del livello soprastante è maggiore di quello sottostante il risultato non è negativo ma 0.

        Questo significa che se il livello soprastante è nero, sottrarrà 0 da ogni canale dell’immagine sottostante e restituirà quindi l’immagine sottostante. Se invece il livello soprastante è completamente bianco sottrarrà 255 da ogni canale dell’immagine sottostante e restituirà quindi uno sfondo nero.

        Se il livello soprastante è giallo con R e G a 255 l’immagine risultante dipenderà dai valori del canale B dell’immagine sottostante, poiché le componenti R e G assumeranno valore 0 in ogni caso, mentre nel canale B verrà sottratto 0.

        Un colore che ha componente R = 240 avrà il complementare che ha valore 15 nello stesso canale. Quindi sottraendo 15 da 240 si ottiene 225. Non è vero il viceversa. Se si sottrae infatti 240 a 15 si ottiene 0.

        1. Esatto. L’operazione non è commutativa – e non deve esserlo. Quello che vorrei fare è capire se ci sono dei campi di generalizzazione per categorie di immagini (i cieli, i volti, etc.) per cui questa manovra può essere resa grosso modo standard. In ogni caso, anche senza usare un blend diretto nell’immagine, produce una base per una maschera di livello che può essere molto interessante.

  6. Io ho provato anche a fare la stessa operazione scambiando le immagini (quella invertita come sfondo) e poi invertendo l’immagine finale. Risultato, si schiariscono e assumono colore le parti in ombra.

    E anche questo è interessante.

  7. Non prendetemi per un rompiscatole, Marco sa di cosa parlo: accanto a quel lago nell’estate 1984 ho letto per la prima volta Fuga da Bisanzio, J Brodskij. E chi vuol capire.. vedrete che capirà. Luce e colore fisicamente intese si intrecciano a luce e colore in piano (di luce?) metafisico.

    1. Sì, so di cosa parli. Siamo stati fortunati ad avere certi miti. Voglio dire, Josif Brodskij contro Justin Bieber: stesse iniziali, ma finale diametralmente opposto. Rispondo con una sola frase, e poi chiudo: “In una stanza e mezzo”. Forse non potevamo capirlo allora fino in fondo, ma poi, purtroppo, sì. Grazie Lorenzo.

Rispondi a Marco Olivotto Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *