Arrivato alla venticinquesima Roadmap in circa un anno non posso fare a meno di chiedermi quale percorso questi articoli stiano veramente tracciando. All’inizio li consideravo quasi delle anomalie, visto che avevano iniziato a comparire in mezzo ai post tecnici sul colore; a un certo punto però hanno iniziato a vivere di vita propria, come una specie di arcipelago che compare in mezzo alla nebbia. Per strano che possa sembrare, sento una strana responsabilità nei loro confronti. A volte mi sembra di doverli accompagnare a casa, anche se in realtà – scritti come sono alla fine dei corsi e dei workshop – sono loro i preludi a un qualche tipo di mio ritorno. Se li accompagno e fa freddo, di solito gli allungo un maglione. Questo rende inesorabilmente più lunga la strada per me, ma è giusto così, e va bene.
Quello di Villa Pozzolini, oggi, è stato il mio primo workshop in Toscana. Non qualcosa che io possa passare come perfetta normalità, temo: troppo del mio percorso attraverso il colore è passato per queste strade perché io non ci pensi. Mi riferisco naturalmente ai corsi di Dan Margulis e alle volte che ci siamo incontrati in questa terra, ma anche ai percorsi incrociati con i miei compagni di viaggio. Tanti compagni di viaggio, ormai – anche alcuni che all’inizio non c’erano. Penso naturalmente alla struggente bellezza di San Donato in Fronzano, il luogo che per me resterà sempre legato alla mia AACT, la classe avanzata con Dan. Ma anche al fatto che, per qualche motivo, sembra che io attraversi queste terre nei momenti di cambiamento. Alcuni di questi fanno parte del mio privato e resteranno con me, ma posso assicurare che è davvero così.
Questa volta non fa eccezione: considero una svolta non secondaria l’inizio della mia collaborazione con la rivista di cui ho scritto recentemente, ma anche quella è solo la punta di un iceberg del quale io stesso non vedo esattamente il fondo; che potrebbe essere due metri sotto i miei piedi; oppure non esserci affatto, infinitamente più in basso. Un momento di now it’s happening, con il problema non secondario di non avere affatto chiaro cosa sia it.
Passata Bologna, a Cantagallo (un luogo della mia infanzia – mi ci portava mio padre ogni volta che attraversavamo la zona e perdevo un sacco di tempo a capire come funzionassero le porte scorrevoli attivate dalle cellule fotoelettriche, che all’epoca non erano esattamente ovunque) ho iniziato a sentire quello strano senso di appartenenza che mi lega a tutto questo movimento. Che è, per dirla con Ferretti, vistoso movimento sulla terra – ma non solo. È sempre un viaggio costellato di messaggi degli amici che sanno dove stai andando e in qualche modo ci tengono ad accompagnarti, con un SMS, una mail o su facebook; con, devo ammetterlo, due o tre incredibili sincronicità vissute pericolosamente in mezzo allo slalom tra i TIR che immancabilmente granchieggiano lungo le vertiginose curve del tratto appenninico.
Se chi legge sta pensando che io abbia bevuto qualche intruglio strano, chiedo davvero perdono: ma la verità è che queste classi e questi eventi hanno sempre un dentro e un fuori. Il fuori è ciò che si vede accadere, il dentro è come si vive ciò che accade. Potrebbe sembrare solo una serie di argomenti ormai noti, masticabili, ma non è esattamente così. Non per me, almeno: è un percorso che modifica me più o meno quanto modifica ogni volta chi viene ad ascoltare i miei strani pensieri sul colore, che passano per la preistoria, evocano immagini horror di occhi scambiati, aprono idee strane sul fatto che il colore, in senso stretto, non esista affatto. Potrei di certo dire tranquillamente le solite cose: ad esempio che stavolta ho probabilmente spiegato la struttura dei canali Lab meglio di altre volte, che ho corso un rischio scontornando un ritratto di fatto inscontornabile automaticamente, e che questo ha generato un’interessante discussione su dove sia lecito, opportuno o addirittura obbligatorio fermarsi, che alcune immagini prodotte dai partecipanti hanno dimostrato come talvolta non correggere affatto il colore sia molto meglio che neutralizzare tutto. Molte colline, molti passaggi radenti a bassa quota che in qualche modo poi entrano nel bagaglio. Ma non credo che sia la parte più interessante di questo workshop.
Fabio Bernardini e Luca Gori, che fortemente hanno voluto questa giornata toscana, sono stati due ottimi organizzatori. Ma non solo: persone di poche parole, quelle giuste, con cui si crea una sintonia istintiva. Ieri sera sono stato accompagnato a Piazzale Michelangelo, da cui si gode della vista più mozzafiato possibile su quel gioiello eterno che è il centro storico di Firenze. Una discesa attraverso i giardini, dove ho perfino visto per la prima volta da anni le traiettorie pulsanti delle lucciole tra i cespugli, in piena città. A quel punto risulta facile parlare di sé, raccontare e raccontarsi, per scoprire magari ventiquattr’ore dopo che il segnale è stato ricevuto, forte e chiaro. (Fabio, grazie. Tu sai perché.)
Insisto che il lato umano di questi corsi è forse il più rilevante di tutti. Penso a Fabio Mannucci, anche lui ACT, che oggi è passato a trovarmi. Era stato al CCC di Roma, poi ha deciso di frequentare con Margulis. E oggi mi diceva che gli piacerebbe, se ce ne sarà mai la possibilità, frequentare anche il corso avanzato, AACT. Pochi minuti in cui ci si racconta, ma partendo da esperienze comuni che si condividono. Io non riesco a pensare che sia poco, e rimango grato per questo.
E poi ho una new entry nell’arsenale: uno strumento didattico alla pari del filtro rosso e dei cartoncini ciano e rosso che usavo tempo fa. Non riesco a fare tutto con le immagini: mi serve qualcosa che io possa toccare, che si possa vedere, che esca dallo schermo e diventi reale – altrimenti sembra tutto finto. La new entry si chiama Sophia ed è una formica di perline di vetro arancioni, rosse e verdi. Appena l’ho raccolta nella mia mano ho capito che sarebbe stata un perfetto modello per dimostrare la fusione dei colori nell’occhio. Eccome, se lo è: vista da vicino, è una teoria di tinte; da lontano, quando si è persa la distinzione tra l’arancione e il rosso, appare rossa e a tratti verde grazie al fatto che le tinte calde sono in discreta maggioranza rispetto a quelle fredde. Passato il limite in cui l’occhio non risolve più i dettagli, diventa appare praticamente grigia. Vagamente rossastra, ma “colorata” sarebbe un termine grosso. Ha avuto oggi il suo battesimo, e credo che non verrà spodestata da nulla di simile per un bel po’. Insegna perché vediamo i colori in un certo modo, ma anche qualcosa di più profondo: che ciò che può apparire piatto e poco rilevante dalla distanza rivela invece un’inquieta sequenza di onde cromatiche appena ci avviciniamo. Accettando entrambi gli aspetti di questa realtà, forse, possiamo mediare alla distanza giusta: senza essere abbagliati dai colori ma anche senza fonderli in un tutt’uno che alla fine, inesorabilmente, tende al grigio. Non per nulla l’ho battezzata Sophia, pensando al significato greco del nome: un po’ di Saggezza sul tavolo, a ricordarmi che esiste una distanza ottimale dalle cose che dobbiamo osservare, personalmente mi aiuta e mi conforta.
Dal quinto piano di un hotel di Viale Guidoni, strada periferica da cui si possono agevolmente vedere gli aerei in partenza verso non so dove, ringrazio Firenze, i partecipanti di oggi, assieme a chi ha organizzato con vero affetto e disinteresse questo evento, e chi mi ha scritto, chiamato, mandato una foto, un pensiero. Con Fabio e Luca ci siamo detti a mezza voce che tornerò: lo spero davvero, e spero presto. In quel caso, per scaramanzia e visto che ci è stata propizia, mi impegno a portare Sophia e la sua grande arte di fondersi diversamente a seconda di ciò che decidiamo di vedere, da quale distanza, da quale prospettiva.
Grazie, Toscana – ancora una volta.
MO
Marco, é vero che questi “incontri” modificano pensieri, abbattono convinzioni radicate, aprono nuovi sentieri.Per noi come per te. Ora ci fai venire la curiosità di vedere Sophia..
Basta che cerchi, Piersimone. È visibilissima in una foto di stamattina, su facebook…
È sempre un piacere riconoscere metalinguaggi e riferimenti a persone che si sa solo che esistono ma è come conoscerle.
Buona fortuna caro amico.
Peccato non essere riuscito a venire….appena tornato dalle ferie stò recuperando tutti i turni “persi”. Grazie di condividere le tue roadmap (sembra di essere un po’ in quel luogo con te). A presto.
Anche il “grigio” è solo apparente… In fondo quasi nulla è come sembra. Niente più della percezione dei colori è così esplicativo. Grande Marco…
E’ stato un vero piacere ed onore partecipare a questo incontro grazie al quale aver potuto apprendere (o sperare di aver recepito 🙂 ) tutte le informazioni e tecniche che ci hai illustrato.
Chi dice che una volta entrati in questo concetto di colore, si apre un mondo e si tende a non guardare più i “colori” come prima, credo dica il vero!! Adesso stà a noi (a me in questo caso) cercare di trarre il maggior ed utile profitto da questo nuovo punto di vista!
Grazie e complimenti di nuovo.
Christian
p.s. mi associo ai ringraziamenti agli organizzatori, vere care persone e mando un saluto alla mitica Sophia! 🙂
Un lapsus freudiano ha deciso per me: ho sbagliato giorno.
Complimenti per il lungo percorso e auguri per Sofia, una buona compagna di viaggio.
Grazie Marco per aver scambiato 2 chiacchiere nel tuo tempo libero. Spero vivamente a presto e in bocca al lupo per tutto 🙂