Sharply Unclear – Pensieri in libertà sullo sharpening

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The sharper the image you cut
the more you disappeared;
so sharp you could cut yourself –
are you still really here?

(P. Hammill – “Sharply Unclear”)

Il filtro “Maschera di contrasto” in Photoshop. Voi non lo amate…?

Molti di voi sanno che ho un background musicale. In vent’anni di carriera nel campo ho constatato che è possibile scrivere canzoni su qualsiasi argomento: e intendo davvero qualsiasi. Un esempio lampante, su tutti: Precious Things di Tori Amos. Se la leggete bene, potreste restare parecchio sorpresi. Peter Hammill ne ha scritte, letteralmente, di tutti i colori. È l’unico uomo che io conosca che abbia tentato di racchiudere i principi fondamentali della teoria della relatività di Einstein in un brano di pochi minuti (Traintime); è anche l’unico uomo che io conosca che abbia, non so quanto volontariamente, citato ripetutamente lo sharpening (maschera di contrasto, per noi italiani) in una canzone.

Metto le mani avanti: la canzone citata in apertura probabilmente non ha nulla a che fare con Photoshop e dintorni. Descrive un personaggio, quello che i britannici chiamano character, probabilmente immaginario-ma-anche-no, e sfortunatamente ho almeno trenta nomi in mente che potrebbero corrispondere alla descrizione che emerge dal testo. Ma se astraiamo un po’, quel brano parla del vero problema dello sharpening: fino a che punto possiamo spingere la nitidezza apparente di un’immagine prima che la stessa ci esploda in faccia? Proviamo a leggerlo di nuovo, stavolta in italiano:

Più nitida era l’immagine che ritagliavi
Più tu scomparivi;
Così nitida che potevi tagliarti –
Sei ancora davvero qui?

La nitidezza non è mai abbastanza, ma a volte è semplicemente troppa.

C’è un interessante gioco di parole nel testo: il primo significato di sharp in inglese è “tagliente, affilato” – il concetto di nitidezza è invece derivato e normalmente si trova in coda alla lista nei dizionari. Sembra che il character della situazione abbia cercato di rendere la sua immagine, nel senso più ampio del termine, così ben definita e nitida che alla fine la stessa gli si rivolta contro e lo taglia. Lo ferisce, insomma. Bene: a livello di metafora, alzi la mano chi non è mai stato aggredito almeno una volta dai denti affilatissimi (er, sharp) dell’oversharpening, ovvero di un’allegra applicazione di maschera di contrasto un po’ troppo esuberante. Se avete dubbi su quale sia il problema, qui a fianco c’è un fulgido esempio di oversharpening, e non credo che richieda commenti (cliccate sull’immagine per ingrandirla). L’unico commento che potrei fare è che questa maschera di contrasto potrebbe essere perfettamente adatta all’immagine se solo si trovasse il modo di frenarla nella maniera opportuna in modo che non ci salti addosso nel momento in cui guardiamo l’immagine. So sharp you could cut yourself?

Ma questo che c’entra con la sfocatura gaussiana…?

Ora, se pensate che io sia un fan di PS, avete ragione. Ma PS non è per me soltanto Photoshop, è anche quello che io chiamo Principio Soggiacente, una brutta traduzione di underlying principle. Per molti il filtro di Photoshop che applica lo sharpening è semplicemente un filtro, e in realtà è giusto che sia così. Però io ci vedo dietro una serie niente affatto breve di componenti più elementari: una sottrazione di un’immagine da un’altra secondo certi criteri, ad esempio; una sfocatura gaussiana; ma soprattutto un problema misteriosamente simile, per non dire identico, a quello che si affronta nel momento in cui si cerca di calcolare la fluttuazione della densità in un materiale soggetto a un processo di diffusione (ad esempio: buttate una goccia di inchiostro nell’acqua: come si espanderà?). Questo vale non solo per la normale sfocatura gaussiana (il “Controllo sfocatura” della versione italiana di Photoshop) ma anche per sfocature più raffinate come “Sfocatura superficie”. Tiro un po’ la cosa per i capelli, in questo contesto, ma la realtà è che quando sfocate un’immagine con qualsiasi nucleo di sfocatura degno di questo nome state applicandole una soluzione di un problema di diffusione; qualsiasi differenza è solo formale – ma il PS, il Principio Soggiacente, è salvo. E, come comprendete, il PS può essere una bruttissima bestia, alle volte, perché se c’è un PS c’è una connessione profonda; e se c’è una connessione profonda ci sono simmetrie nascoste che faremmo bene a rivelare. [«Perché» disse la solita voce «se ogni volta che applichiamo una sfocatura stiamo applicando una soluzione dell’equazione di diffusione questo significa che in un’immagine deve esistere un fenomeno simile alla diffusione, nel momento in cui la guardiamo dalla giusta angolazione e abbiamo una visione sufficiente a comprendere che non tutto è visibile immediatamente. Corretto?» «Questo si vedrà», rispose lo specchio.]

Il filtro “Aggiungi disturbo” è globale: il suo intervento non tiene conto delle caratteristiche dell’immagine.

La verità è che, purtroppo o per fortuna, sono irrimediabilmente un fisico: credo profondamente nei mattoni fondamentali della materia, e altrettanto profondamente che i meccanismi ultimi dei fenomeni che osserviamo siano semplici e celati da una difficoltà che è solo apparente. Attenzione: questo non significa che la realtà non sia complessa, ma complessa non vuol dire complicata o difficile. Un filtro come “Maschera di contrasto” in Photoshop ha solo tre parametri: Fattore, Raggio e Soglia, ma con tre numeri soltanto potete creare una varietà incredibile di effetti: non perché dietro il filtro ci sia un piccolo Mago Merlino che agisce, ma perché si tratta di un filtro locale ovvero dipendente dall’immagine: se applicate del rumore a un’immagine tramite il filtro “Aggiungi disturbo”, il rumore va a ricoprire la stessa senza curarsi di cosa ci sia sotto e questo per definizione è un filtro globale, che non dipende dalle caratteristiche dell’immagine alla quale lo applicate. Se questo filtro fosse locale potreste invece trovarvi, ad esempio, con un rumore dipendente dalla luminosità: maggiore dove l’immagine è chiara, minore dove è scura; o viceversa, se preferite. Se volete renderlo locale, siete in grado di farlo facilmente: dovete utilizzare un qualche tipo di selezione basata sulla luminosità, come una maschera di livello, che di fatto è una selezione come chiunque abbia partecipato a un mio corso sa bene. Ma certi filtri sono intrinsecamente locali: non esiste nulla di assimilabile a una maschera di contrasto globale semplicemente perché la maschera di contrasto viene generata da ciò che l’immagine contiene, a differenza del disturbo. Questo è molto ovvio anche a livello intuitivo: non potete applicare la maschera di contrasto della fotografia di un fiore a un paesaggio.

Sfocare un’immagine “uccide” certe frequenze spaziali: è il primo passo necessario per enfatizzarle grazie a una sottile operazione di sottrazione.

Dietro tutto questo ci sono concetti semplici ma profondi, come l’elusiva frequenza spaziale, che è fortemente correlata alla finezza del dettaglio di un’immagine. Il vero problema è che la realtà con cui ci confrontiamo percettivamente è sì composta da elementi semplici, ma le sue manifestazioni sono assai complesse. Difficile trovare un’immagine che abbia solo alte frequenze, ovvero dettagli sottili; questi si innestano di solito su frequenze medie (dettagli intermedi), che si innestano a loro volta su frequenze basse (strutture su larga scala); talvolta prevalgono gli uni, talvolta gli altri, in un groviglio apparentemente inestricabile. Ma perché mai dovremmo essere interessati a sfocare un’immagine per renderla più nitida? Chiedetelo a un velista: qualsiasi velista sa che è possibile risalire il vento con un’andatura detta di bolina. È realmente possibile navigare in direzione opposta al vento, ma se non si guarda alla radice del fenomeno la cosa sembra un assurdo. Lo stesso vale per lo sharpening: ogni volta che applicate una maschera di contrasto, nelle viscere di Photoshop tutto parte da una semplice e umile sfocatura, ovvero qualcosa che toglie nitidezza – non l’aumenta. Ma è solo tramite essa che possiamo isolare le frequenze che ci interessano, realizzando lo sharpening tradizionale o HiRaLoAm, necessari rispettivamente per enfatizzare i microdettagli dell’immagine oppure le forme più ampie rappresentate dalle frequenze medio-basse.

Jan Koenderink.

Chi fosse realmente interessato ai principi e abbia il coraggio di tuffarsi in acque oggettivamente profonde dovrebbe leggere il fondamentale articolo pubblicato nel 1984 da Jan Koenderink e intitolato The Structure of Images. Attenzione, non è per i pavidi, e vi serve un po’ di matematica, o perlomeno una discreta dose di fede nel fatto che ciò che vedete scritto ha un senso. Certamente l’inizio dell’abstract di questo articolo è una delle affermazioni più fondamentali mai scritte nel campo del digital imaging a qualsiasi livello:

In pratica, i dettagli rilevanti delle immagini esistono soltanto all’interno di una scala dimensionale ristretta. Per questo motivo è importante studiare la dipendenza della struttura dell’immagine dal livello di risoluzione. Sembra abbastanza chiaro che la percezione visiva tratta simultaneamente le immagini su diversi livelli di risoluzione e che questo fatto debba essere importante per lo studio della percezione.

Nessuna curva, nessun intervento con alcuna regolazione: solo una maschera di contrasto; anzi, due; no, tre; ok: quattro maschere di contrasto. (Foto di Doris Franceschini)

Tutto questo può sembrare nebuloso, ma può essere spiegato in maniera tutto sommato semplice e molto pratica. La connessione tra quelli che potrebbero apparire semplici numeri interi adatti a rappresentare le caratteristiche di quelli che chiamiamo pixel e alcune delle formidabili ramificazioni del nostro sistema visivo è tutta contenuta in un semplice filtro a tre parametri noto come “Maschera di contrasto”, uno dei quali è accessorio (Soglia), uno è ausiliario (Fattore) e uno assolutamente fondamentale (Raggio). Questo filtro, accoppiato a maschere di livello magari fantasiose ma sensatamente scientifiche a loro volta apre l’universo dei fuochi artificiali che è possibile realizzare con lo sharpening. E di fuochi artificiali, magari acquatici, si tratta davvero: provate a cliccare sull’immagine a fianco per vederla a risoluzione più alta. La versione sottostante è stata ottenuta senza alcun intervento su luminosità, saturazione o simili. Solo una ripetuta applicazione di maschere di contrasto molto semplici, anche se estreme. Da dove vengono tutto lo straordinario dettaglio e la variazione cromatica presenti nella versione sottoposta al trattamento rispetto all’originale?

Forse vi va di scoprirlo; oppure la vostra ambizione è semplicemente quella di avere immagini migliori in stampa e sul web, più simili a quelle prodotte dai grandi professionisti, che sembrano sempre avere un po’ più di risoluzione rispetto alle vostre. Ma qualsiasi sia la vostra inclinazione, ho parlato di questo in un videocorso prodotto da Teacher-in-a-Box che vi invito a vedere se vi intriga lo sharpening. In esso, oltre ai principi, descrivo le due filosofie di pensiero principali in materia, quella di Dan Margulis e quella di Bruce Fraser, affrontando il problema dello sharpening nei tre diversi metodi colore (RGB, Lab, CMYK) e mostrando anche alcune tecniche avanzate.

La verità è che si potrebbero fare N corsi sullo sharpening, con N parecchio grande, perché la materia è profonda; insisto: complessa, ma non complicata. Il mio paradossale rammarico, in un certo senso, è che il mio videocorso sia stato fatto da me: avrebbe dovuto essere appannaggio di Davide Barranca, che è una delle persone che più ha approfondito lo studio della materia tra quelle che conosco, visto anche che moltissimo di ciò che so l’ho appreso da lui. Ma questo è toccato, e avete solo me (per ora, s’intende)… spero che sia perlomeno sufficiente.

Per concludere questa serie di pensieri in libertà, che hanno più a che fare con il senso dello sharpening in generale che con la tecnica (anche se non escludo di pubblicare un articolo più mirato a breve), chiudo il cerchio:

And the sharper the image you cut
The less you seemed alive;
So sharp, but this open book’s
Transparently jive.

Lascio alla vostra buona volontà l’interpretazione del termine jive, che non è del tutto ovvio in questo contesto. Diciamo che si potrebbe tradurlo liberamente con “chiacchiere”, se fosse un sostantivo. Quelle le lasciamo agli altri – occupiamoci delle cose serie. Come lo sharpening, il suo significato e la sua applicazione a ciò che credo più amiamo: le nostre immagini.

A presto,
MO

P.S.: se siete curiosi, per qualsiasi motivo, Sharply Unclear è qui.

9 commenti su “Sharply Unclear – Pensieri in libertà sullo sharpening”

  1. Complimenti. Ancora una volta ti stai dimostrando un grande divulgatore. Vedrò presto il tuo videocorso. Ma nel contempo mi auguro di leggere altri articoli sull’argomento. E altri altri videocorsi. Magari in coppia con Davide Barranca.
    Grazie

    1. Grazie Luca! Un videocorso con DB? Subito… se solo riesco a incatenarlo alla sedia e a puntargli l’artiglieria da campo (fuori campo rispetto alla camera, però) la cosa è fatta… 😉

  2. Questa delle fontane dovrebbe essere la foto di cui mi parlavi la sera della pizza post corso. Ricordo che mi parlasti di un tipo di sharpening piuttosto “inconsueto” su questa immagine in particolare. In effetti su questa immagine induce una variazione incredibile!

    1. Sì, Fabrizio, è esattamente quella tecnica. Sharpening HiRaLoAm molto, molto, molto spinto sui canali a e b di Lab…

  3. Ho visto il tuo videocorso sullo sharpening. Davvero interessante! Ricco di spiegazioni e indicazioni supportate da casi pratici pratici che rendono chiari concetti anche complicati. Anche la lezione “Miti da sfatare” ha fatto la sua parte: mi diverto sempre quando un concetto dato per certo (anche da me) per il solo fatto di averlo sentito ripetere all’infinito viene facilmente smontato. Quella lezione mi ha ricordato il tuo precedente articolo 8 bit vs 16 bit :-).
    Sto vedendo anche tutti gli altri tuoi videocorsi. Quando li avrò finito questa full immersion credo che qualche domanda te la farò. Intanto ti rifaccio i complimenti. Ciao

  4. Fuori tema, ma lo devo scrivere. Questa sera cercavo qualcosa sullo sharpening, per rendere più incisive le riduzioni dei files della mia D800, ed invece ho trovato Peter Hammill. Veramente incredibile. Non più di 20 minuti fa, ho comperato un libro sui VDGG e ieri, come spesso mi succede ultimamente, ho riascoltato un sacco di vecchie canzoni di Peter. Il tuo sito già lo conoscevo, ma dopo questi segni del destino, ne sarò un assiduo lettore. Complimenti per la tua cultura fotografica e musicale. Solo adesso mi rendo conto che forse tu sei il Marco Olivotto che ha partecipato alla stesura di Dark Figures Running, che sono anni che cerco. Se è così, per cortesia, rispondimi. Ciao – Massimo

    1. Yes, it’s me. Ho tradotto metà degli album assieme a Luca Fiaccavento. Grazie, Massimo – a presto.

  5. Ciao, queste coincidenze sono proprio incredibili…..cerchi una cosa da molto tempo e poi la trovi improvvisamente dove non te l’aspettavi. Ti rinnovo i complimenti per le tue passioni / lavori svolti con professionalità. Ma mi puoi aiutare a rintracciare una copia del libro? il gruppo di studio non mi ha mai risposto ed è veramente molto tempo che lo cerco. Grazie – Massimo

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