Il mio primo imprinting con la musica suonata fu probabilmente legato al mandolino di mio nonno. Lo ammetto: era un musicista senza speranza che aveva imparato a suonare a orecchio il curioso strumento a otto corde in gioventù, quando fare le serenate alle ragazze sotto la loro finestra era l’unico modo per entrare in contatto con loro.
Tutto questo avveniva, naturalmente, in Trentino; ma il primo brano che Vigilio insegnò alle mie dita di bambino fu “Santa Lucia”. La stranezza di ritrovarmi, ieri, a ridosso di Via Santa Lucia a Napoli, con una melodia e qualche parola (sul mare luccica… e poco altro) che rimbalzano nella testa. Non c’era nessun astro d’argento, però: pioveva, ed ero pure senza ombrello grazie alle ferree regole aeroportuali grazie alle quali se il peso del bagaglio supera di un grammo gli 8 kg, qualcosa esce dalla borsa e resta lì. Ero a 7,950: la scelta era tra l’ombrello e un libro sulle tecniche di illuminazione da leggere in aereo. Ha vinto il libro.
E stamattina, il corso presso ILAS. Una grande e bella scuola, centrale, perfettamente disegnata; poco cospicua, incastrata tra i palazzi a ridosso del litorale, su una strada caotica e rumorosa come si addice al centro di Napoli. Un corso inedito, diviso in due moduli: una lezione frontale al mattino, con venticinque persone, e una sessione di esercitazione il pomeriggio, con sedici, da me subito etichettati come i desperados. Gli argomenti, i soliti, di introduzione alla correzione del colore: perché ci serve, come la affrontiamo, cosa utilizziamo.
Sto insegnando queste cose da più di tre anni, e ho sempre insistito sul fatto che non si tratta di tecniche isolate, ma di un flusso di lavoro generale. Qualche settimana fa gli ho trovato anche un nome: e per la prima volta lo ho annunciato oggi. L’ho chiamato ASIA, dove le lettere indicano le iniziali di Analisi, Strategia, Intervento, Analisi. Il paragone è quello della terapia medica: si svolgono degli esami, si individua il problema e si pianifica una cura, la si attua, e poi si controlla il risultato della cura per mezzo di una nuova analisi quantitativa. È esattamente la cornice concettuale nella quale cerco di inserire le tecniche di correzione del colore che insegno.
Una bella classe di grafici e fotografi, e diversi docenti: alcuni professionisti che mi ha fatto davvero piacere incontrare nella cornice surrealmente tecnologica dell’ILAS; che, devo dire, ha un’organizzazione perfetta ed efficiente, oltre alla squisita ospitalità che solo il Sud ti può dare. Non serve chiedere nulla, perché tutto è già pronto: tutti sanno chi sei, cosa fai, perché sei lì. Fa incredibilmente piacere, e ringrazio di cuore i responsabili della scuola che mi hanno invitato.
Napoli è Napoli, naturalmente, con tutto il suo splendore e i suoi problemi. Ho dei curiosi guizzi di riconoscimento di alcune zone, in una città nella quale potrei perdermi semplicemente svoltando un angolo. Il taxi, ieri notte, mi portava da Capodichino fino a ridosso di Castel Dell’Ovo. Guardavo dai finestrini questa città incredibile, di giorno come di notte, e ho avuto un pensiero che era uno strano gioco di parole: “L.A.?”, come dire “Los Angeles?”, ma anche “è lei?”. Perché non ci sono dubbi sul fatto che la città che precipita dai monti verso il mare, andando incontro al Vesuvio, sia “lei”. A un certo punto mi sono trovato a chiedere all’autista: “sbaglio o siamo dalle parti di Via Duomo?”, cosa che mi ha confermato con un “sì, è quella…”, indicando una perpendicolare alla nostra direzione. A quel punto ho capito che eravamo sul rettifilo, che si chiamerebbe Corso Umberto I per il mondo. Poi Piazza Bovio. E poi giù, verso il Maschio. Curiosi frammenti vagamente familiari, con il Vomero e il suo castello, quello di Sant’Elmo, che mi guardano dall’alto. Resta un castello speciale: fu la prima cosa che vidi di Napoli quando venni a tenere il mio terzo CCC della storia, nel 2011, per Michele Del Vecchio e Antonio Pesacane con il loro club fotografico. Io che guardo Spaccanapoli da lì, con Mario Oliva che me la indica, e ora qualcuno, non so chi, che forse guarda giù e vede il mio taxi che corre parallelo a Spaccanapoli, più sotto.
Forse qualcuno si sta chiedendo perché sembra che io scriva delle note turistiche più che il commento a un corso. Non credo che sia così: perché questi corsi, nella mia percezione, vanno contestualizzati nel luogo in cui avvengono. Un caffè a Milano è totalmente diverso da un caffè a Napoli. O a Roma. Bologna non ha caffè. Taranto eccome, e di solito è freddo. Senza contare che il caffè a Milano lo prendi vedendo la gente che passa in Corso Como; qui fai colazione guardando, a scelta, il Vesuvio o Procida. E se il caffè è diverso, se tutto intorno è diverso, anche l’intero approccio è necessariamente diverso. Non parlo a Verona come a Pescara, tantomeno come a Napoli o a Monaco. Per me Napoli è semplicemente caos e fantasia a livelli estremi, e in un certo senso ne ho avuto la prova oggi.
Una delle allieve del pomeriggio si è bloccata durante la prima parte dell’esercizio. Succede. Mi sono avvicinato alla sua postazione e ho guardato cosa stava facendo. Ho capito che era una reazione curiosa, la sua, istintiva: manovrava le curve guardando l’immagine, più che i numeri, e si spaventava dello spostamento cromatico che vedeva. Quindi si fermava, pensando di sbagliare. La foto era quella che i miei allievi conoscono tutti: i due soldati sotto l’Altare della Patria a Roma. Una foto orribilmente, inequivocabilmente blu, che richiede una curva particolare nel canale B per funzionare: semplice, ma non ovvia per chi ha iniziato solo da un’ora a leggere il colore. Insomma, Sara era bloccata. Le ho fatto vedere come fare e le ho detto: “non voglio che guardi i colori, devi avere fiducia nei numeri”. Ma evidentemente era più forte di lei. Non è facile come sembra, credetemi.
L’immagine seguente del primo set era la famosa (a sua volta) leonessa bianca sotto l’albero, lo scatto prezioso di Doris Franceschini che mi serve per introdurre i fenomeni percettivi nella correzione. La povera bestia è verde: nella foto, ma non nella realtà. Lascio i ragazzi a lavorare, giro un po’, e poi raccolgo le versioni. Sedici: sono tantissime. Via subito quelle ancora verdi. Cassate senza pietà quelle con troppo blu nelle ombre. Via quelle gialle, è un leone bianco. Alla fine ne restano tre, veramente buone. E una, tra le migliori di sempre, è quella di Sara. Ma come, non ti eri bloccata sui militari, che sono molto più facili? Cromatismo perfetto, contrasto da manuale. E lei dice: “ho rimpicciolito l’immagine fino a non vederla più e ho corretto i numeri.” Chiedo scusa, applauso: questo è decollare da soli, questo è coraggioso. Chi penserebbe di non guardare l’immagine alla seconda correzione della sua vita? L’arte di arrangiarsi di Napoli, se volete. Ma funziona, è pragmatica, porta a un risultato eccellente. Era la versione migliore, assieme a un’altra. E il solito blend 50/50 ne ha prodotto una ancora migliore.
OK, bisogna insegnare le curve. E, di nuovo, ci sono le impostazioni colore sballate. Capire che in Lab la neutralità coincide con un grigio 50% nei canali a e b è un salto notevole. Ma bisogna anche capire che una correzione del colore collegiale, a volte, produce risultati migliori di una individuale; che non ci sono molte discussioni su quali versioni siano le migliori; che un margine esiste, come nello scatto con la doppia dominante del ristorante di Ostuni, un altro vecchio cavallo di battaglia di questi incontri. Sono sempre le stesse immagini, per me, e come sempre ogni volta produco una versione del Coguaro che non mi sembra granché, ma che è comunque sempre unanimemente considerata migliore dell’originale, perché stacca il soggetto dallo sfondo in una delle foto più impestate di piattezza cromatica che io abbia mai trovato. E sono davvero felice che ogni tanto qualcuno trovi il coraggio di non guardare affatto l’immagine; è come correggere con il monitor in bianco e nero, anzi è peggio, perché ci vuole un salto di fede notevole in quei numeri che ballano nel pannello Info. Eppure, funziona.
Dal mio punto di vista è stato un ottimo corso. Quando alla fine esco per strada e sono stanco ma sento che nonostante tutto lo rifarei subito daccapo, so che per me è andato bene. Se è andato bene per i presenti lo devono dire loro, ma spero che li rivedrò sul gruppo di Facebook, o su questo blog, o forse in un’altra classe. Chissà.
Un’ora dopo ero seduto a cena con dei vecchi amici. Una bimba di nove anni, Eva, figlia di una mia compagna di università che vive ora in questa città, a un certo punto mi ha preso il braccio e mi ha regalato un braccialetto che aveva realizzato pazientemente attendendo la sua pizza. Vedere foto a lato: piccoli elastici, tutti colorati, che non mi aspettavo fossero per me. Eva non poteva saperlo, ma lo ha affiancato a un altro braccialetto che non dovrebbe più neppure stare al mio polso: ma mi è stato donato da un extracomunitario proprio qui a Napoli, in un caffè di Piazza Bellini. È un braccialetto della fortuna, e ho deciso di non toglierlo fino a che non si aprirà da solo. Il problema è che non vuole saperne di rompersi. Sta lì da tempo immemorabile e potrebbe anche avere, senza che io lo sappia, il primato del braccialetto della fortuna più longevo che si conosca. Ho provato anche a tirarlo un po’: niente. Non si rompe. È ridotto a un filino, è skinny, ma non se ne va. Ora ne ho due, quello nuovo più colorato dell’altro ma arrivato altrettanto inaspettatamente. E anche questo resterà fino a che non deciderà di rompersi da solo. Grazie Eva: sono piccole cose, inattese, che poi magari, non si rompono anche quando sembra che dovrebbero. Come Napoli.
Alla prossima roadmap, che sarà piacentina, e non è lontana da qui. A Napoli, niente è poi così lontano. Chi sa di musica, sa che mi riferisco a un album specifico e bellissimo, nato qui dove sono ora, molti, molti anni fa, da un gruppo che si chiamava Perigeo, che è poi la posizione del sole, o della luna, quando si avvicinano al massimo alla terra.
Grazie a tutti!
MO
Un po di fortuna non guasta mai ma, a Marco Olivotto, basta ed avanza la sua bravura. Una persona corretta come un punto di luce perfettamente neutro ma, nello stesso tempo, con la vivacità di un Color Boost. Bellissime sempre le tue roadmap. Grazie.
è sempre un piacere leggerti….. 🙂
Lo Zen e l’Arte di arrangiarsi… A napoli siamo un pò così, ed a volte ci piace molto esserlo