Photoshop: una luce, un’ombra – pt. 2

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Nella prima parte di questo articolo ho esaminato in dettaglio i motivi per cui è essenziale impostare un punto di luce e un punto d’ombra corretti in un’immagine; ho discusso quali sono i valori canonici (in RGB) da dare a questi punti; ho esaminato il problema della loro neutralità; e ho collegato la prassi di non bruciare le luci a un fastidioso effetto che si può manifestare nel momento in cui la fotografia passa dal monitor alla carta, ovvero viene stampata. In questa seconda parte vorrei esaminare alcune ulteriori immagini che presentano qualche difficoltà in più di quella già analizzata e impostata correttamente nella parte precedente. Entriamo subito nel vivo della questione.

Se le luci sono bruciate e le ombre chiuse

Una classica fotografia notturna. (© Ezio Auditore)

In questa fotografia, che come quella discussa nella prima parte mi è stata gentilmente concessa da Ezio Auditore, ho inserito cinque frecce (cliccate per ingrandire): le frecce rosse indicano punti nei quali le luci valgono 255R255G255B e le frecce blu indicano punti nei quali le ombre valgono 0R0G0B. Questo significa che alcune luci in questa immagine sono bruciate e prive di dettaglio, alcune ombre sono invece completamente chiuse – e a loro volta priva di dettaglio. La luminosità dell’immagine è quindi distribuita tra luci e ombre che sono, rispettivamente, più chiare e più scure della norma. La domanda che nasce spontanea è: dobbiamo correggere il loro valore? Ovvero, dobbiamo abbassare il livello delle luci più chiare fino a che diventa pari a circa 245R245G245B e innalzare quello delle ombre più scure fino a che raggiunge 10R10G10B? Risposta ambigua: nel caso delle luci, forse; nel caso delle ombre, no. Cerchiamo di capire perché.

Le luci: le parti più chiare di questa immagine non hanno alcun dettaglio significativo e sono in questo senso paragonabili a riflessi speculari. Se l’immagine è destinata al web non toccatela: va benissimo così (per quanto riguarda il valore dei punti di luce, perlomeno). Se invece va stampata potrebbe avere senso abbassare il livello delle luci per i motivi spiegati nella prima parte di questo articolo. In questo caso, va detto, le aree di luce realmente bruciata sono molto piccole, con la possibile eccezione dell’area luminosa in basso e poco a sinistra rispetto al centro, e forse si potrebbe chiudere un occhio sul famoso effetto “strappo”. Ma se la cosa vi preoccupa, intervenite opportunamente. In ogni caso, le luci non acquisteranno dettaglio: non possono, perché non ne contengono in partenza e la differenza sarà soltanto che avrete delle macchie luminose un po’ meno chiare.

Le ombre: laddove sono completamente chiuse non hanno alcun dettaglio significativo. Non ha senso perdere contrasto per recuperare qualcosa che non è recuperabile, quindi le lasciamo come stanno – sia che l’immagine sia destinata al web, sia che debba essere stampata.

Digressione: l’importanza della distribuzione della luminosità

I punti segnati con le frecce nell’immagine precedente non sono gli unici punti caratterizzati da bruciatura o chiusura. Se applichiamo all’immagine originale la regolazione Soglia e giochiamo un po’ con il cursore scopriamo che gli unici oggetti che hanno un valore di luminosità superiore a 181 sono le luci della città.

I punti della foto precedente con una luminosità superiore a 181.

Questa è la mappa delle luci che si ottiene con lo strumento Soglia utilizzato nel modo appena descritto. La prima cosa che salta all’occhio è che le parti luminose dell’immagine, dal punto di vista del numero di pixel, sono in netta minoranza: tutta l’immagine è pesantemente sbilanciata verso le ombre. Questo risulta ancora più visibile se portiamo la soglia a 81 e, come descritto nella prima parte di questo articolo, poniamo al 50% l’opacità del livello di regolazione:

La distribuzione delle zone di luce e ombra nell’immagine precedente.

In generale non amo gli istogrammi, ma in questo caso è utile osservare quello inserito nell’interfaccia della regolazione Soglia per capire cosa stia succedendo. L’istogramma ci mostra chiaramente che la luminosità è divisa in tre zone principali. Quella alla sinistra del cursore, rappresenta le ombre: è l’area molto scura nell’immagine qui a fianco. Quella centrale, che sta proprio a cavallo della metà dell’intervallo di luminosità disponibile, rappresenta i mezzitoni ed è sostanzialmente identificabile con il cielo. La parte di destra, apparentemente vuota, contiene le luci che abbiamo visto nella mappa precedente. L’altezza di un istogramma in corrispondenza di un dato valore di luminosità ci dice quanti sono i pixel che assumono quello specifico valore. Questo istogramma ci dice essenzialmente questo: l’immagine vive nelle ombre e nei mezzi toni, mentre pochissimi pixel popolano le luci. In questo senso il range dinamico è al massimo della sua ampiezza possibile, ma la stragrande maggioranza dei pixel si situa al di sotto della soglia che abbiamo visto poco fa, pari a 181 (per inciso: questo è il valore a partire dal quale il cielo scompare del tutto dalla regolazione Soglia). Il range dinamico, quindi, non è sfruttato al meglio.

L’immagine precedente con il contrasto enfatizzato nelle ombre e nei mezzi toni.

L’immagine qui a fianco vi appare forse esageratamente spinta, ma vi ricordo che il suo scopo è puramente esemplificativo e didattico. Si tratta della stessa immagine di partenza a cui è stata applicata una curva piuttosto estrema che aumenta molto il contrasto nelle ombre e nei mezzi toni, a scapito di quello nelle luci. Chiunque si accorge che questa immagine è più chiara della precedente, ma non è solo quello il punto: questa immagine è molto più contrastata e rivela dettagli nelle parti più scure che erano praticamente invisibili, anche se presenti, nella versione originale. Questo avviene perché il contrasto è stato enfatizzato nelle aree più importanti – il cielo e la città. Le luci sono fondamentali per dare il senso della ripresa notturna, ma non è affatto rilevante che acquisiscano contrasto: nell’originale sono semplicemente dei fori luminosi con pochissimo o nessun dettaglio, più o meno colorati, e in questa operazione si sono ulteriormente appiattite dal punto di vista del contrasto: è il prezzo che dobbiamo pagare per recuperare qualcosa nelle ombre e nei mezzi toni. La cosa vi dà fastidio, a prescindere dal fatto che l’immagine sia troppo spinta o meno? A me assolutamente no: e trovo sorprendente la quantità di informazioni che una semplice curva di contrasto riesce a mettere in evidenza in parti che ne sembravano quasi prive.

Infine, non dirò nulla sul colore di questa immagine. Qui siamo nel campo della completa soggettività: il carattere bluastro dell’immagine si sposa bene con la sua ambientazione e ci suggerisce un’atmosfera notturna; potremmo decidere di modificare le cose, ma quello che ci importa in questo contesto è soprattutto mettere a fuoco le caratteristiche della luminosità – non del colore.

Le conclusioni di questa sezione:

  1. Se le luci sono bruciate, valutate la loro importanza nel contesto dell’immagine. Se si tratta di aree piccole rispetto alla totalità della fotografia, lasciatele come sono salvo nel caso che riteniate ci possano essere problemi in stampa. Se necessario, dovrete intervenire con tecniche specializzate per ricostruire uno pseudo-dettaglio, ma non pensiate che scurire le luci bruciate le migliori dal punto di vista della struttura.
  2. Se le ombre sono chiuse, sono già prive d’informazione e possiamo lasciarle stare. Il valore canonico delle ombre si riferisce a quei casi in cui le parti più scure contengano del dettaglio di qualche genere. Se nell’originale ci sono parti significative nelle quali i canali hanno valori inferiori a 10 ma significativamente superiori a 0, considerate di riportarle nel range canonico per preservare il dettaglio. Altrimenti, schiarire le ombre non ha molto senso.
  3. Infine, ricordate che è la distribuzione dei valori di luminosità tra luci e ombre a dettare il carattere della fotografia: la versione curvata è non solo più chiara ma anche e soprattutto più contrastata laddove ci interessa.

Quando un canale esplode

Cosa succede quando un canale ha un valore troppo elevato?

Nella fotografia del giardino qui a fianco abbiamo un problema diverso rispetto all’immagine esaminata poco fa. Il punto significativo più chiaro si individua facilmente con il solito strumento soglia: è la casa seminascosta dagli alberi e indicata dalla freccia. Il problema è che quando andiamo a porre un campionatore colore in quell’area otteniamo una lettura pari a 249R243G255B. Il canale blu assume il massimo valore possibile in RGB e questo deve farci scattare un campanello d’allarme: la lettura in quel punto è viziata da un problema semplice quanto apparentemente complesso da mettere a fuoco. Per spiegarlo, utilizzerò un modello tratto dal mondo reale.

Supponete di avere una bilancia la cui portata massima è di 5 kg. Supponete anche che la pesata minima che lo strumento vi consente di fare sia di 50 g. Questo significa che se appoggiate un peso da 20 g sul piatto, la lancetta non si sposterà perché esso è al di sotto della soglia di sensibilità dello strumento. Allo stesso modo, se appoggiate un peso anche di poco superiore a 5 kg, la lancetta finirà a fondoscala e indicherà 5 kg, ma la lettura sarà errata. Il risultato è che due pesi pari a, diciamo, 5,1 kg e 5,2 kg sembreranno pesare comunque 5 kg, e in entrambi i casi la lettura sarà sbagliata.

La stessa cosa accade nel sensore. Parliamo innanzitutto delle luci: in questo caso specifico non abbiamo una sovraesposizione globale come quella che abbiamo visto nelle zone bruciate della fotografia precedente, ma una sovraesposizione che riguarda un solo canale. Questa immagine ha probabilmente una dominante blu, ma la cosa più importante è che non abbiamo alcun modo di decidere se la lettura pari a 255 nel canale B sia corretta o sia un clipping, per usare un termine tecnico: se la luce che ha colpito il sensore avesse avuto una componente blu rappresentabile con un ipotetico valore di RGB pari a 260, non avremmo potuto registrarla correttamente – perché siamo a fondoscala della bilancia. Se la componente fosse stata pari a un valore, sempre ipotetico, di 265, stesso discorso. In questo senso, sia alzare l’intensità del rosso e del verde fino a raggiungere 255 che abbassare quella del blu fino a pareggiare i due canali più beneducati in quel punto è un potenziale errore. Per quanto riguarda le ombre, il discorso è simile: valori troppo vicini alla soglia minima di luminosità rischiano di essere fortemente viziati da problemi di scarsa sensibilità del sensore in quelle aree.

L’idea è che dobbiamo prendere come punti di riferimento delle aree dell’immagine che si trovino a distanza di sicurezza dal fondoscala. Dobbiamo, in altri termini, avere un margine di almeno 3-4 punti per essere ragionevolmente certi di avere una lettura attendibile. Il problema in questa immagine è che quasi tutti i punti candidabili a essere punti di luce sono bruciati nel canale B. La scelta più sensata è forse quella di andare a porre un campionatore sulla camicia della persona che si trova nel gruppo a circa due terzi dell’immagine, da sinistra, solo in base al fatto che quella camicia sembra essere bianca. Attenzione: non è il punto più chiaro, ma è il primo punto che troviamo che ci dia una lettura attendibile: 248R245G251B. Siamo sicuri che la camicia sia bianca? No: per quanto ne sappiamo potrebbe essere di qualsiasi altro colore chiaro e tenue, ma non abbiamo scelta e dobbiamo scommettere, perché nessun altro punto chiaro si situa abbastanza distante da 255 nel canale del blu da essere candidato. Ci serve anche un punto d’ombra, più facile da trovare con il canonico metodo della regolazione Soglia.

1 – un punto inutilizzabile; 2 – un punto di luce corretto; 3 – un punto d’ombra.

L’immagine a destra è identica all’originale ma riporta le posizioni dei tre campionatori di cui abbiamo parlato: #1 non è utilizzabile a causa del clipping nel canale B; #2 è il punto di bianco candidato; #3 è il punto d’ombra. Se leggiamo i valori troviamo quanto segue: #2 ha componenti 248R245G251B come abbiamo detto poco fa; #3 invece ci propone la terna 15R19G15B. A questo punto siamo pronti a incominciare. Il valore di G nel punto #2 è corretto: il rosso e il blu sono più alti. L’idea è di pareggiare tutti e tre i canali al valore 245 tramite una curva. Per quanto riguarda il punto #3 abbiamo un eccesso di verde (19 G contro 15 in R e B): difficile da credere, perché il tronco è marrone scurissimo, e il marrone non può avere un eccesso di verde essendo un rosso molto scuro e poco saturo. In ogni caso, non ci importa molto di quale colore sia il tronco: restiamo fedeli al principio che nelle ombre percepiamo poco i colori e andremo a portare tutti e tre i canali a un valore pari a 10.

Le curve che fanno questo lavoro sono delle linee rette. Il problema, naturalmente, è che noi stiamo scommettendo che la camicia che abbiamo preso come riferimento sia bianca, ma in realtà non lo sappiamo. Se dopo avere regolato i numeri come si deve andiamo a misurare alcuni degli elementi dell’immagine con la consueta lettura in Lab, otteniamo questi risultati:

  • Nuvole tra i rami, in alto a sinistra: 94L(1)a(6)b;
  • Nuvole all’estrema destra, parte più chiara: 90L0a(10)b;
  • Capelli dell’uomo seduto sulla panchina, l’individuo più a destra: 84L5a(7)b.

Sono dei dati molto significativi: è vero che le nubi sono leggere e possono far passare un po’ del colore del cielo, ma 10 punti negativi nel canale b su un oggetto che mi aspetterei sostanzialmente bianco sono troppi. I capelli dell’uomo possono essere grigi, castano chiaro, biondi, ma certamente non blu: 7 punti negativi nel canale b sono inaccettabili. L’unica conclusione possibile è questa: abbiamo ipotizzato che la camicia fosse bianca, ma non lo è. Se quel colore fosse corretto avremmo una componente assai più bassa di blu nelle nubi e soprattutto nei capelli. Abbiamo già spiegato perché le nubi non sono un buon punto di riferimento: B è troppo alto. Puntiamo quindi proprio sui capelli: la curva in grado di portarne il valore a un assai più realistico 86L2a2impone di accettare questi valori nel pannello Info:

Il pannello Info dopo le curve descritte nel testo.

Vediamo. Il campionatore #1 si riferisce al muro, che in questo caso risulta giallino. Plausibile? Assolutamente sì. Il #2 si riferisce alla camicia, a sua volta giallina: di nuovo molto credibile. Il #3 è il tronco, non ci dà problemi. E gli altri colori? Le nuvole si sono assestate su valori tipici simili a 91L(4)a(3)b; l’erba al sole viaggia attorno a 59L(21)a40b; il tronco presenta ancora dei punti di blu nella parte alta (b < 0) che possiamo risolvere curvando il canale B nella parte relativa alle ombre. Il risultato è una curva simile a questa, che mette a posto le cose:

La curva che corregge la dominante blu nell’immagine.

Il fatto che le nuvole abbiano assunto una componente gialla è abbastanza tipico: quando un canale è bruciato di solito dobbiamo necessariamente abbassare in maniera talvolta drastica le sue luci (o, a seconda dei casi, alzarle negli altri due canali o almeno in uno di essi) in un punto che consideriamo significativo. Questo porta a una riduzione della componente del canale incriminato nei punti di luminosità estrema e talvolta la dominante originale si inverte. Questo si può risolvere in vari modi che non discuteremo in questa sede.

Il risultato finale della curva riportata sopra è visibile in questo prima/dopo: sopra, l’immagine originale con la dominante blu; sotto quella corretta. Pur non essendo una catastrofe, l’originale mostra ora tutte le sue problematiche.

Prima e dopo: sopra, l’immagine originale; sotto, la versione libera dalla dominante.

Questo ci porta alle conclusioni di questa sezione:

  1. Se un canale assume valori pari al suo massimo, siate diffidenti: non avete modo per sapere quanto severo sia stato il clipping che lo ha portato a bruciarsi. Cercate un punto il cui valore sia significativamente più basso del massimo possibile.
  2. Nel caso di immagini con una dominante, stabilire dei punti di luce e di ombra corretti è il primo passo verso la loro rimozione, anche se possono essere necessarie manovre aggiuntive per ottenere una versione soddisfacente.

Quando il punto di luce non è bianco

Un originale poco contrastato e molto arancione, a causa della luce colorata da un tendaggio.

C’è un termine inglese che mi piace molto: bewildering. Una possibile traduzione potrebbe essere legata alla parola “imbestialire”: una cosa è bewildering se fa imbestialire chi cerca di farla senza riuscirci. In realtà in questa espressione qualcosa è lost in translation, come spesso accade; il suo significato è un po’ più sottile e non lo si può esprimere, credo, con una sola parola nella nostra lingua. Ebbene: uno dei compiti apparentemente più bewildering per i miei allievi è quello di piazzare un corretto punto di luce in un’immagine come quella che vedete qui sopra, che non ha un punto di luce neutro. Temo che per chi tende a fidarsi troppo dei numeri sarà un po’ bewildering anche la mia provocatoria conclusione di questo esempio, ma senza rischi non si procede e quindi io la trarrò ugualmente.

Parto dal punto d’ombra: non ci dà problemi e lo identifichiamo in una delle pupille. Per quanto riguarda invece il punto di luce, la linea di pensiero corrente relativa a questa immagine è la seguente: la pelle certamente non è neutra, tantomeno bianca – quindi non possiamo individuare il punto più chiaro e dargli un valore pari a 245R245G245B. Che colore gli diamo? A questo mi viene da rispondere, perlomeno nella maggior parte dei casi: siete liberi di non crederci, ma se decidiamo di portare quel punto al valore canonico non stiamo rendendo un punto colorato bianco; lo stiamo solo rappresentando come tale. E questo fa un mondo di differenza.

Il passaggio precedente è cruciale e so per esperienza che rimane molto spesso incompreso. Quindi, lo ripeto dandogli l’enfasi che merita e riformulandolo.

In certi casi, forzare un punto di luce al bianco non significa dichiarare che è di quel colore, ma solo rappresentarlo come tale.

Café terrace at Night (da Wikipedia).

Se me lo consentite, vorrei fare una piccola digressione su questo tema. Quando ci occupiamo di gestione del colore ci basiamo su dei modelli matematici che sono stati formulati con uno scopo specifico: la valutazione del grado di similitudine tra due campioni colorati in certe condizioni di osservazione ben definite. Questi modelli non tengono conto di un buon numero di effetti che sono collegati a come noi percepiamo il colore. Non tengono conto, ad esempio, del colore circostante al campione che esaminiamo, né del contrasto simultaneo che generazioni di artisti hanno utilizzato istintivamente per valorizzare colori complementari adiacenti, come fece Van Gogh nel suo famosissimo quadro Café Terrace at Night. In un contesto come quello della visualizzazione delle immagini digitali questi effetti non previsti dal modello canonico sono cruciali. Uno di questi è la nostra tendenza a percepire l’oggetto più luminoso di una scena come bianco anche quando non lo è. Ma anche la nostra difficoltà a percepire il vero colore di un punto circondato da altri colori. Insomma: i fenomeni si sommano e si intersecano e sono assai complessi. A questo punto però ci chiediamo: ha senso in quest’ottica forzare alla neutralità (praticamente al bianco) un punto che bianco non è? La mia personale risposta è che spesso sì, questo è sensato.

Di che colore è il punto indicato dalla freccia rossa?

La prova è in questa versione dell’immagine. Credeteci: l’area indicata dalla freccia rossa vale 244R244G244B. È neutra. I vostri occhi la percepiscono come tale? Credo proprio di no. In ogni caso, a mio parere questa versione dell’immagine è enormemente superiore all’originale, che pure non ha un punto di luce bianco. Lo è per vari motivi: ha maggiore contrasto ma soprattutto ha una buonissima variazione cromatica, molto realistica e per nulla esagerata. Se esaminaste l’immagine da vicino potreste anche trovare una sorpresa: alcune aree, in particolare quella a destra del naso per chi guarda, hanno addirittura delle componenti negative nel canale a, ovvero la pelle ha una microscopica componente verde. Sono aree molto circoscritte, parliamo di pochissimi punti Lab, ma credo già di sentire le grida di chi vorrebbe mettermi all’indice per avere lasciato dei colori anomali nella pelle di un bambino andando a ricercare il realismo della riproduzione. Rispondo con la massima tranquillità che quelle componenti per quanto mi riguarda ci stanno tutte. Attenzione, di nuovo: sono componenti assolutamente minime; in generale l’immagine segue la regola a > 0, b > 0, b > a propria degli incarnati ed è genericamente corretta. Ma nelle aree più chiare (parliamo di valori di luminosità pari a 96L e dintorni) il colore incriminato è così tenue che induce variazione e contrasto, senza disturbare. Non solo: dal mio punto di vista quel colore non è più verde del resto: è meno magenta. Per questo crea contrasto simultaneo con il rosso desaturato e chiaro della pelle che lo circonda, e aggiunge profondità. Già, perché un’immagine non ha profondità, e non ha forma: sono i nostri occhi a darle forma. Forse fate perfino fatica a credere che una lieve componente di verde ci sia, ma se non ci credete osservate la mappa del colore a luminosità costante (la luminosità è quella del grigio neutro al 50%):

La mappa del solo colore della correzione precedente.

La saturazione che percepite in questo contesto è elevata perché la nostra percezione del colore è profondamente connessa alla luminosità: nella fotografia, tutto il ritratto è molto chiaro, i colori sono tenui e per questo non siamo disturbati più che tanto da una componente negativa in certe aree, fatta eccezione forse per il riflesso bluastro nella parte chiara degli occhi che effettivamente andrebbe desaturato. Questo mi porta a sottolineare una cosa: prendere il bianco degli occhi come punto neutro è un errore. Primo, non è neutro di per sé; inoltre l’occhio riflette il mondo che lo circonda e all’aperto spesso prende una colorazione azzurrina a causa della presenza del cielo. La nostra vista non si sogna neppure di vedere una sfumatura di blu, in condizioni normali, ma la macchina fotografica com’è noto la pensa in maniera assai diversa da noi. Quindi in ogni caso non fidatevi di quel “bianco”.

Questa versione ha i colori più corretti, ma è meno tridimensionale e plastica.

Se proprio non volete rendere neutro il punto più chiaro dell’immagine, avete comunque l’opzione di lasciare del colore. Questa versione è più corretta dal punto di vista numerico: il punto che prima era neutro vale ora 250R226G213in sRGB, che si traduce in un rispettabile 92L7a10b, un incarnato ideale per un soggetto come questo. Il problema è che questa versione è anche più piatta e meno interessante della precedente: osservate ad esempio quanto diversamente è definita nelle due immagini la forma del naso. Il carattere diafano della pelle di un bambino piccolo è meglio riprodotto, a mio modo di vedere, dalla prima versione che vi ho proposto, che è neutra nel punto di luce. In questi casi, di solito, si può anche tentare un bluff cercando di conservare il meglio dei due mondi tramite una fusione delle due immagini. Qui di sotto, nell’ordine: la versione da me considerata migliore, quella numericamente corretta e il 50% del colore della seconda sulla prima, per mitigare un po’ le variazioni che rimangono comunque interessanti. Quale preferite?

Dall’alto in basso: la correzione ottenuta imponendo la neutralità al punto di luce; la correzione ottenuta imponendo un ragionevole colore all’incarnato in quel punto; il 50% del colore della seconda sulla prima. Chi vince?

Tutto questo per dire che la CC, Correzione del Colore, non è una scienza esatta. O meglio, la CC è una scienza esatta nella misura in cui ci permette di sapere di quanto sbagliamo; e sbagliare in maniera mirata può essere estremamente positivo per il risultato finale, che comunque è soggetto a una scelta estetica individuale. Ribadisco che la punta di verde tenuissimo presente nella pelle non ha un valore assoluto: è funzionale nel creare un sottile contrasto simultaneo che enfatizza le parti in cui la pelle, invece, ha una componente positiva (e in questo senso corretta) nel canale a. Va da sé che se il vostro scatto ritrae un vestito magenta carico su fondo bianco, e il soggetto è il vestito, sarà ardua dare al punto di luce il suo valore canonico. Ma ci sono, in molti casi, diverse scelte possibili: fate la vostra e vedete dove vi porta. Se è errata, come nel caso della foto del parco esaminata sopra, ve ne accorgerete subito. Se è corretta salvo che in poche aree limitate, chiedetevi se la variazione indotta da tali aree non possa risultare complessivamente interessante. Comunque sia, usate sempre gli occhi e il cervello e, magari, un monitor ben profilato: se state leggendo questo articolo su un monitor che abbia una dominante verde anche leggera, penserete che io sia pazzo nel valutare come migliore la versione che ho proposto come tale.

Le conclusioni:

  1. Quando un punto di luce è palesemente non neutro, potete provare a forzarlo alla neutralità. Nel caso non abbia un colore enormemente saturo potrebbe essere un’idea vincente.
  2. In subordine, potete anche operare una scelta contraria, imponendogli un colore che rispetti le regole: il risultato avrà probabilmente meno contrasto e meno variazione cromatica, ma potrebbe apparire migliore ai vostri occhi.
  3. Il più delle volte, come nella vita, la verità sta nel mezzo.

E così si conclude questo articolo sull’individuazione dei punti di luce e di ombra nelle fotografie. Quattro casi: uno semplice, uno caratterizzato da aree bruciate e aree chiuse, uno viziato da una dominante che ha causato un clipping su un solo canale, uno in cui il punto di luce non è neutro. La casistica, sostanzialmente, è tutta qui. Ora sta a voi applicare le regole, e, se è il caso, formularne di nuove se se ne presenta la necessità.

Alla prossima!

MO

5 commenti su “Photoshop: una luce, un’ombra – pt. 2”

  1. Di nuovo un articolo di grande interesse. Ancora complimenti. Dovrò rileggerlo.
    In particolare mi piace quando spieghi, con esempi concreti, che ” In certi casi, forzare un punto di luce al bianco non significa dichiarare che è di quel colore, ma solo rappresentarlo come tale”. Riguardo a questo concetto abbiamo un esempio che a queste ore è spesso “sopra” gli occhi di tutti. Anche se stanotte non la vedo: Il colore della luna. Che, non a caso, è anche il titolo di un bellissimo libro sulla percezione visiva, di Paola Bressan.
    Grazie ancora per i tuoi scritti.

  2. Con questi articoli hai sottolineato la cosa che più mi piace della CC. Non ci sono automatismi ma bisogna sempre ragionare e capire qual è il migliore approccio per un’immagine.

    Domanda…da niubbo ignorante.
    Nel secondo caso (lo scatto in notturna) usando una curva estrema per aumentare il contrasto nelle ombre e nei mezzitoni, non si rischia di far uscire rumore? Risottolineo il dubbio da niubbo (fatto la rima 😀 )

    P.s.
    Meravigliosi articoli. Che benedizione il tuo blog!

    1. Grazie Michelangelo, ora rispondo ai vari commenti che sono rimasti indietro, ma parto da questo.
      La risposta alla tua domanda è “assolutamente sì”. Il problema del rumore nelle ombre è endemico ed è tipico della risposta dei sistemi digitali quando il segnale è basso; è esattamente lo stesso principio per cui, in un CD, il rumore di quantizzazione (“crrrt-crrrtcrt-crrrt…”) si manifesta sui segnali di bassa intensità. Senza ri-addentrarmi in un problema piuttosto complesso, ti segnalo il mio video sul rumore pubblicato per Albero del Colore; lo puoi trovare qui.

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