Con il doppio evento romano della scorsa settimana si conclude la mia stagione di workshop e corsi per quest’anno. Una tappa anomala e importante, caratterizzata da due eventi completamente diversi.
Il primo, venerdì 6 dicembre: un workshop interno presso la Scuola Romana di Fotografia al Parioli, dedicato principalmente alla lettura e al trattamento del colore della pelle: SKINTONE. Questo evento ha radici così vecchie che non ricordo neppure quando ne parlammo per la prima volta. Sì, perché accade che nelle famose cene post-fiera o post-qualcosa ci si ritrovi con i colleghi lontano dal caos degli stand o dalla tensione dei seminari. Magari da fuori si potrebbe pensare che parliamo delle abbreviazioni da tastiera di InDesign, ma non è così: il più delle volte parliamo dei fatti nostri, perché il tempo ci ha resi amici; spesso ci confrontiamo su quello che stiamo facendo. «Dove insegni tu quest’anno, cosa pensi di questo evento, hai visto l’articolo del tale, potrebbe andare peggio – potrebbe piovere.» In una di queste occasioni, Claudio Lodi mi disse “potresti venire a Roma una volta a fare qualcosa a scuola…” Così, quando Martin Benes mi chiese di partecipare al Creative Pro Show, contattai Claudio dicendogli che avrei potuto prendermi un giorno in più per andarlo a trovare. Detto, fatto. Nel giro di una settimana tutto era organizzato.
Questo tipo di evento è quello che preferisco: free for all, gratis per tutti. Ovvero, nessuno paga, nessuno riceve denaro: è una condivisione, uno scambio di cultura, che occupa un pomeriggio e un po’ di buona volontà. Attira persone interessate, perché si svolge di solito all’interno di un istituto in cui si studiano certe materie, il pubblico parte da una base più o meno omogenea e di un certo livello, e tutto va liscio. In questo caso, una sorprendente risposta da parte degli allievi della scuola: circa cinquanta partecipanti, molto attenti e a fuoco.
Avevo preso spunto da numerose immagini che ritraggono persone di carattere diverso: uso il termine “carattere” al posto di “etnia” o “razza”, che trovo antipatici. Nel mezzo avevo inserito un’immagine con uno skintone errato dal punto di vista numerico, ma accattivante dal punto di vista artistico; e ho usato una comparazione dei campioni, intesi nel senso di swatches, dei vari toni disponibili per mostrare le regolarità e le deviazioni medie anche all’interno dei diversi caratteri. Un campione ovviamente usciva sempre dal seminato: non ci stava proprio dentro. Se siete curiosi, il suo valore era 40C 40M 0Y 0K: un tono di pelle perfetto, no?
L’idea era quella di catalogare e spiegare come intervenire, nei casi canonici, sul colore della pelle. E alla fine, con una discreta dose di visione fotografica, abbiamo concluso che se da un lato esistono dei numeri a cui possiamo riferirci ogni volta che vogliamo, dall’altro certe immagini si difendono benissimo anche se “sbagliate”. La fotografia in questione, per la quale ringrazio Sabrina Martin, viziata da una temperatura colore errata, era correggibile con qualche difficoltà; ma, corretta, tendeva a sparire dal punto di vista emotivo. Per contro, l’originale era di gran lunga troppo blu. Alla fine abbiamo concordato che una fusione 50/50 delle due versioni fosse il compromesso migliore tra una parvenza di coerenza cromatica e un’interpretazione artistica non banale.
Ho molto apprezzato la struttura della scuola: spazi ampi, studi sparsi ovunque, camera oscura, un’area dedicata al digitale, spazi per i seminari. E vorrei ringraziare di cuore Riccardo Spila, Carla Magrelli, Claudio Lodi per l’organizzazione; Francesca Baldini per l’assistenza in classe e per essersi prestata allo scherzo che tutta l’aula ben ricorda, Davide per l’assistenza tecnica. Spero di tornare presso questa istituzione con più calma, un giorno o l’altro.
Il giorno dopo, CPS – ovvero Creative Pro Show. Holiday Inn sull’Aurelia, l’accoglienza di Martin Benes, lo scambio di saluti con gli altri relatori (confesso che dare la mano a mostri sacri come Krunoslav Stifter, Rebeca Saray e Nik Ainley mi ha causato un leggero brivido). Nella giornata di sabato io ero in un certo senso l’ospite con il vestito sbagliato: perché era la giornata dei relatori internazionali, mentre la squadra di domenica era tutta italiana. E mi sono trovato con il mio modulo molto pratico e diretto ad aprire le danze, un po’ come un rompighiaccio.
Duecento e più persone sedute al buio ad ascoltarti sono TANTE. Non perché sia più difficile rapportarsi a una folla (anzi, per certi versi è più facile) ma perché arrivare fino all’ultima fila con quello che dici è molto impegnativo. Quando inizio so sempre di cosa parlerò, ma in larga parte improvviso: nella comunicazione, più che nei contenuti. A volte mentre parlo mi viene in mente un argomento parallelo per cui non ho preparato slides, ma che può essere esemplificato da un’immagine, e se mi sembra il caso abbandono il sentiero e devio per qualche minuto. Il leit-motiv di questo intervento era: la musica punk. Soprattutto, il desiderio (ingenuo?) del movimento punk di sradicare alcune idee preconcette e vetuste che causano solo danni. Il mio atto più punk è stato quello di liberarmi in un solo click delle impostazioni di Photoshop per mostrare come quelle di default siano non solo dannose, ma di più, nei confronti del colore. Dai feedback mi sembra che abbia funzionato: e un grazie di cuore va ad Alessandro Bernardi che mi ha confezionato per l’occasione un profilo colore derivato da sRGB ma con delle parametrizzazioni veramente carogna, che hanno messo in luce quanto devastante possa essere l’assegnazione implicita di un profilo di default (sbagliato, pure) a un’immagine. Chi si trovi a lavorare con immagini provenienti da certe videocamere di fascia alta o scansioni particolari da film, lo sa molto bene. E, naturalmente, ringrazio il mio deposito vivente di immagini improbabili, Sara Lando: che ormai certamente mi odia, lo so. E teme la mia telefonata o la mia mail che di solito ha un tono come «Sara, avresti una roba con un boa di struzzo magenta, ma MAGENTA, voglio dire? Cioè, una cosa oscenamente colorata, perché se deve fare schifo la manipolazione atroce che voglio far vedere deve farlo davvero…» Il giorno dopo ne arrivano tre. Uno zoo di boa di struzzo magenta, da non credere. Grazie!
Del Creative Pro Show scriverò più estesamente nell’articolo che pubblicherò prima della fine dell’anno, con alcune considerazioni generali su “chi siamo e soprattutto, dove stiamo andando?” Però due cose vanno dette e vanno dette ora. La prima è che lo spirito della conferenza è assolutamente quello della condivisione. I relatori parlano tra loro, si scambiano idee, discutono col pubblico e nessuno mostra la cresta. In un’epoca di galli diffusi, questo è tantissimo.
La seconda è che ho trovato di ottimo livello tutti gli interventi, ma senza togliere nulla a nessuno posso tranquillamente dire di essere stato spazzato via da due: quello di Nik Ainley sabato e quello di Alessia Cosio domenica.
Il primo perché semplicemente è sovrumano, punto. Bert Monroy, in pratica, ma ancora più maniacale nel dettaglio e più moderno nell’approccio. E fa cose in Photoshop che io non saprei replicare neppure facendo Copia e Incolla dai suoi documenti, onestamente. Con alcune levate di genio assoluto, come la texturizzazione degli oggetti 3D con colori primari RGB (e miscele opportune) al fine di creare maschere automatiche perfette e facilmente manipolabili. Questa cosa ha fatto girare vorticosamente gli ingranaggi mentali del sottoscritto, e non solo i miei (Andrea Iacca è piombato su di me a metà maschera, che Nik neppure aveva finito di spiegarla, farfugliando “separare… duotone… curvare…” con me che rispondevo “multicanale… esportare separazioni da InDesign…” e amenità simili).
La seconda perché ha tenuto una linea didattica perfetta, semplice, trasparente. E soprattutto perché alle domande precise e puntuali del pubblico non ha mai risposto, come altri docenti che conosco, “si fa così e basta” ma ha spiegato il perché delle sue scelte, e si capiva che le erano perfettamente chiare la teoria e la tecnica a monte. Vista la sua giovane età, Alessia cade anagraficamente nel gruppo delle “giovani promesse”, ma ho avuto modo di scambiare due parole con lei nella hall e credo che dovrebbe entrare di diritto nel gruppo successivo, denominato “solide realtà”. Se c’è qualcuno in Italia di cui sentiremo parlare in futuro, e presto, è questa ragazza di Messina, tranquilla e gentile. E in un certo senso proprio lei ha incarnato per me lo spirito del CPS: l’ho trovata seduta su un divanetto, computer aperto, tavoletta grafica in mano, che parlava con una persona. Mi sono avvicinato chiedendo scusa per il disturbo solo per scoprire che questa persona aveva perso il suo intervento e lei… glielo stava rifacendo. In privato. Voglio dire: parliamone. Non è che succeda sempre, e dice tantissimo.
Le Roadmap non hanno immagini, di solito, come ben sapete, ma questa ci sta: un ritocco in diretta, molto 3D, molto simpatico e con un filo di goliardia, in perfetto spirito Creative Pro Show.
A questo punto, un grazie di cuore: a Martin Benes e a tutta la sua squadra, agli altri relatori (Leonardo Dentico, Digital Area, JonTom e Francesco Marzoli oltre a quelli già menzionati), ai compagni di cena di sabato sera (Tiziano Fruet, Daniele Di Stanio, Claudio Lodi e tutti gli altri), e, personalmente, a Francesca Baldini e Chiara Liotta per la loro assistenza continua e affettuosa. Senza l’aiuto della prima e senza il servizio taxi della seconda (a Roma è cruciale sapersi muovere… e non posso dire che sia la mia specialità) tutto questo sarebbe stato assai più difficile – quindi, grazie davvero.
Come ho già detto, sarò certamente anche ai prossimi Creative Pro Show: in qualità di partecipante, nel pubblico. Ne vale certamente la pena, anche solo per capire dove vanno le idee e dove possono arrivare.
A presto!
MO
Marco, potrei scrivere un torrente di parole sulle emozioni scatenate nel passato fine settimana. Delle persone nuove che ho conosciuto -tu sai- e delle emozioni che mi hanno regalato. Non lo farò, non voglio annoiare nessuno. E poi è meglio che rimangano intime.
Dirò solo una cosa: visto che hai aperto con un incipit Punk, allora sappi che la tua nuova pettinatura Punk di fine serata ci piace. E come vedi parlo al plurale. Non Majestatis, ovviamente.
Impegni per il nuovo anno? Convincerti a tenerla il più a lungo possibile.
Spero di riabbracciarti presto, ragazzone. E qualcosa mi dice che avverrà quanto prima. 😉
Grazie Andrea – è stato un fine settimana importante per molte ragioni, e anch’io ho incontrato nuove persone che spero rimarranno nell’orbita. Quanto alla pettinatura punk non credo ci siano rischi: non se ne va; i capelli finiranno prima di lei. Ci rivediamo presto in Puglia, sento dire? 😉