Roadmap #39 – VD 193

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Questa non è una Roadmap in senso canonico: parla del mio primo anno d’insegnamento presso l’Istituto Design Palladio di Verona, conclusosi oggi con l’ultimo esame – Illustrator nella classe del primo anno di Visual Design. Una lunga avventura iniziata lo scorso autunno e annunciata in questo post, della quale solo oggi sono in grado di (intra)vedere i confini.

I tre articoli che precedono questo sono Roadmap: questo è legato agli spostamenti di queste ultime settimane che mi hanno lasciato molto poco tempo per pensare e progettare articoli più tecnici; altre faccende mi hanno lasciato ancor meno energia, ma ho intenzione di recuperare il più in fretta possibile.

Non ho alcuna intenzione di tediare nessuno con il resoconto di un anno accademico diviso tra varie classi e corsi diversi, ma vorrei presentare quella che è stata, contemporaneamente, la mia sfida di fine anno e di riflesso la sfida di diciotto dei miei studenti dei corsi di Illustrazione Editoriale (MEI) e Visual Design (VD) (entrambi al primo anno). Preannuncio che le immagini, che sono quelle che contano, si trovano alla fine dell’articolo.

Vorrei chiarire il termine “sfida”. Oggi, durante la sessione d’esame, pensavo che recentemente qualcuno che s’illude di conoscermi mi ha rimproverato di non correre rischi. Ha utilizzato parole inequivocabili che preferisco tralasciare con fair-play inglese. A mio modo di vedere esistono tre scenari possibili quando si devono fare le cose. Il primo: giocare al risparmio quando si sa che un risultato è comunque dietro l’angolo: non serve impegno, quindi perché soffrire? Il secondo: rischiare anche moltissimo, sapendo bene che la possibilità di fallire è elevata ma che il successo è possibile. Il terzo: rischiare con la certezza matematica che la catastrofe arriverà comunque e indipendentemente dal rischio che si è disposti a correre. I tre aggettivi che utilizzo per descrivere, rispettivamente, questi tre atteggiamenti sono: noioso, imperdibile, folle. Per natura, potendo scelgo il secondo scenario e gioco tutto. Se sono costretto, mi piego al primo – ma in quel caso mi annoio. Il terzo lo lascio a chi è autolesionista.

Credo di essere tutto fuorché poco disposto a rischiare. Anzi, rischio sempre tutto – se ne vale la pena. In questo caso, vorrei presentare un esempio del secondo scenario, quello in cui il rischio di fallimento è elevato ma il rischio di guadagno (morale, s’intende) è tangibile e il gioco vale la candela. Per farlo, spiego innanzitutto come ho concepito l’esame finale, identico per entrambe le classi citate sopra, del mio corso base di Illustrator.

Una sera, per strada

Visions In Blue: VD 193.
Visions In Blue: VD 193.

Perché si decide di scattare una fotografia? A volte semplicemente non si sa. Si intuisce che non farla sarebbe peggio che farla – in fondo cosa costa? Si estrae il telefono, si punta, si preme un tasto, si guarda il risultato, si mette via. Nel mio caso, ho scattato la fotografia di un portone in ferro battuto semplicemente perché al quarto passaggio davanti a esso mi sono accorto che emanava una strana luce che non riuscivo a non guardare. Con la fotografia a fianco, peraltro, brucio ogni mia credenziale nella correzione del colore: per una volta non ho nessuna intenzione di correggere una componente pari a -50 nel canale b di Lab, che ovviamente non può essere reale. Ma questa è la foto scattata d’istinto con un iPhone e così rimarrà – qui e ora, lì e allora. Con un motivo: la richiesta basata su di essa ed estesa agli studenti potrebbe benissimo essere reale e corredata da una foto analoga. Oggi le foto che vengono fornite non sono spesso migliori di questa – e a volte sono peggiori. Il mondo è un brutto posto e quello della grafica spesso è anche peggiore della media. “Quindi, ragazzi, abituatevi da subito” – questo è stato il pensiero.

VD 193

A onor del vero, le fotografie fornite erano tre, tutte dello stesso soggetto ripreso da angoli diversi. Non pubblico le altre due per senso del pudore, perché sono peggiori di quella che ho appena mostrato. Ma le ho date ai miei allievi, con questo discorso:

Pensatela come una commessa per un cliente: io vi do queste foto e voi dovete basarvi su ciò che vedete per realizzare da zero in Illustrator un poster 50 x 70 cm, immaginando di dover promuovere un B&B presente nello stabile. Il luogo non ha nome: il suo nome è semplicemente ‘Via Duomo, 193’. In quale città, perché, come, non ha alcuna importanza. Dovete semplicemente convincere qualcuno a entrare in quel portone, disegnandolo.

Sono abbastanza abituato a essere guardato in maniera interrogativa, ma per qualche secondo dopo questo lancio di agenzia mi sono sentito un perfetto alieno. Questa pensata ad altissimo rischio mi era venuta dal nulla una mattina mentre mi radevo. Davvero: rasoio in mano, mi stavo chiedendo cosa proporre alle classi come esame finale per il primo corso di Adobe Illustrator e mi ricordai delle fotografie del portone che avevo scattato.

Perché era una pensata ad altissimo rischio? Perché non è affatto banale affidare un progetto del genere a ragazzi che usano Illustrator da pochissimi mesi. Verso gennaio, quando iniziai con loro, non avevano alcuna idea della differenza tra un’immagine raster e un’immagine vettoriale; credo che tutti ricordino con emicrania latente l’esercizio per imparare a utilizzare lo strumento penna, semplice in apparenza, demoniaco nell’esecuzione; credo che tutti abbiano intimamente bestemmiato l’intera schiera dei santi quando insistevo sugli aspetti geometrici del pannello Elaborazione tracciati, tirando in ballo perfino la teoria degli insiemi per tormentarli. E via dicendo.

Io non sono un progettista, né so disegnare. Io insegno: strumenti e tecniche. Ogni strumento ha una funzione ed esistono almeno N modi diversi (con N grande a piacere) per ottenere lo stesso risultato. Ognuno sceglie quello che preferisce, si spera con un grano di logica. La funzione dello strumento Sfumatura è ovviamente quella di realizzare le sfumature; la funzione delle sfumature è quella di introdurre variazione; la funzione della variazione è quella di illudere l’osservatore che esista una qualche forma di plasticità in un disegno altrimenti piatto come una sogliola. La mia linea didattica è sempre stata questa: “questo serve a questo scopo, e questo scopo vi serve se volete fare questa certa cosa – poi deciderete voi se farla e come farla”. Con due assiomi aggiunti:

  1. Davanti a una personalità che esce allo scoperto, un docente deve farsi da parte.
  2. Dopo essersi fatto da parte, deve diventare invisibile pur restando presente.

Il punto 2 implica che alle domande si deve rispondere, ma senza influenzare in alcun modo una direzione a nostro uso e consumo. Sarebbe semplicemente una questione di ego: la mia direzione non è necessariamente migliore di quella di qualcun altro. In questo caso specifico, la direzione era rigorosamente individuale. Il compito era ad alto rischio perché implicava solo tre regole:

  1. Fate ciò che volete, senza alcun limite.
  2. Non utilizzate la funzione Ricalco dinamico.
  3. Non ricorrete a Photoshop per più del 10% circa del lavoro: tutto deve nascere e crescere in Illustrator.

In assenza di regole aumenta la responsabilità, ma sono profondamente convinto che questo sia l’approccio giusto. Non ha senso alitare sul collo delle persone indicandogli ogni possibile trabocchetto sul cammino: è giusto che ci finiscano dentro e imparino a uscirne, disfando se necessario tutto ciò che era stato fatto per ricominciare daccapo. Io posso accompagnare un percorso, ma non sono la stampella di nessuno. Per tre lezioni ho quindi lasciato che i ragazzi lavorassero in silenzio, dando ogni tanto un’occhiata senza mai criticare una scelta e lasciando a loro la responsabilità – appunto – del risultato finale. Che avrebbe potuto essere catastrofico, compromettendo l’andamento di un intero anno di sforzi e mettendo in discussione il mio approccio – ma anche no. Sufficiente, come rischio? Davanti a una classe e in ultima analisi a una scuola?

Ho visto qualcuno partire malissimo, in crisi rabbiosa con se stesso. “Cosa devo fare?” “Lo sai.” Ho visto altri deprimersi e poi reagire davanti a risultati dei loro vicini che gli apparivano migliori dei propri. Ho visto almeno tre persone tirare zampate formidabili, molto al di là delle mie aspettative, estraendo dal cappello idee che personalmente non avrei neppure mai concepito. Soprattutto, ho visto una persona presentare il suo progetto stamattina, sostenere l’esame, andare a casa senza il voto (assegnato solo alla fine di tutto il giro dei colloqui) e ricevere 30/30 completamente meritati. Ciononostante, scrivermi mezz’ora dopo avere saputo il risultato per chiedermi: “come posso migliorare in Illustrator?” Questo con 30/30.

Penso con amarezza a chi, fuori da scuola, dopo essersi cercato un fallimento con tutti gli strumenti umanamente a disposizione, pur avvisato della catastrofe imminente con regolare continuità, ti si scaglia infine contro accusandoti di non averlo aiutato, di non averlo sostenuto e soprattutto di non averlo compreso. Ovvero: “è colpa tua.” Non dovrebbero essere l’autonomia e la libertà di scelta uno stimolo a migliorare? Come se giudicare e stilare classifiche fosse un bel mestiere: personalmente vorrei che gli esami fossero come interruttori – “promosso/bocciato”, e tutto sarebbe semplice. Invece è una grande difficoltà capire se sia logico che due persone che sostengono esami diversissimi tra loro alla fine debbano meritare lo stesso voto, capire se un voto più basso di ciò a cui qualcuno aspirava è per lui o lei uno sprone oppure uno schiaffo. Non è affatto facile.

Ne parlavo con Tiziano Fruet oggi pomeriggio. Gli ho mostrato i lavori raccolti in mattinata e l’ho visto positivamente sorpreso. Con la sua esperienza pluriennale, Tiziano è una persona di eccezionale correttezza ma non le manda a dire a nessuno quando è il caso, e ho con lui il privilegio di una rispettosa confidenza che deriva però da anni di frequentazione reciproca: un commento positivo da parte sua vale dieci commenti positivi di persone più propense ad adularti anche se hai fatto, magari, un lavoro solo mediocre.

Qui di seguito, quindi, vi presento le diciotto versioni di ‘Via Duomo, 193’ elaborate da un gruppo di giovani di età compresa tra i 19 e i 22 anni, tutti più o meno esordienti. Alcuni hanno il dono di saper disegnare qualsiasi cosa anche appesi a testa in giù, altri hanno qualche problema nel farlo; alcuni hanno una capacità di sintesi innata, altri la tendenza a espandersi liquidamente in tutte le direzioni. I lavori sono in rigoroso ordine alfabetico, senza commento, perché credo che parlino in media da soli. Quello di cui sono certo è che mostrano in maniera nitida delle personalità. Sono perfetti? No, alcuni no. Ci sono ingenuità evitabili anche in un paio dei progetti che considero migliori; ma sono peccati veniali, che si risolvono con una manata sulla fronte e cinque clic di mouse: non possono toccare il giudizio generale, o tutto diventerebbe semplicemente meritocratico e sterile – reddere omnia ad calculos. Mi è abbastanza chiaro perché alcuni progetti sono rigorosamente simmetrici, perché altri mischiano geometrie perfette con sporcature grunge, perché alcuni sono privi di colore o quasi. Sono le personalità: e io, onestamente, non posso chiedere nulla di più di un numero di progetti essenzialmente corretti nella sostanza, che mostrano il volto di chi li ha realizzati.

Gli elaborati sono diciannove, in realtà: uno studente ha presentato due versioni totalmente diverse. La prima in funzione dell’esame, la seconda, assai minimale, non rilevante dal punto di vista tecnico ma evidentemente una sua esigenza dal punto di vista comunicativo. Una specie di “questo è Illustrator, questo sono io”. Dal momento che è impossibile apprezzare la finezza di certi dettagli nei raster necessariamente minuscoli di questo articolo, ho allegato alcuni screenshot ingranditi in coda a tutto.

Entriamo…

Damian Agreiter – VD1
Damian Agreiter – VD1
Elisa Ambroso – VD1
Elisa Ambroso – VD1
Viviana Bellinazzi – VD1
Viviana Bellinazzi – VD1
Ottavia Camposilvan – VD1
Ottavia Camposilvan – VD1
Elena Capponi – VD1
Elena Capponi – VD1
Federico Dal Bello (1) – VD1
Federico Dal Bello (1) – VD1
Federico Dal Bello (2) – VD1
Federico Dal Bello (2) – VD1
Giovanna Faccini – MEI1
Giovanna Faccini – MEI1
Erika Feraboli
Erika Feraboli – MEI1
Sofia Feraboli – MEI1
Sofia Feraboli – MEI1
Alice Girotto – MEI1
Alice Girotto – MEI1
Manuel Glira – VD1
Manuel Glira – VD1
Michela Muraro – MEI1
Michela Muraro – MEI1
Valentina Ottaviani – MEI1
Valentina Ottaviani – MEI1
Andreaalice Sommi – VD1
Andreaalice Sommi – VD1
Paola Spolon – VD1
Paola Spolon – VD1
Silvia Teodonio – MEI1
Silvia Teodonio – MEI1
Paola Zadra – MEI1
Paola Zadra – MEI1
Enrico Zanovello – VD1
Enrico Zanovello – VD1

“Closer.”

Andreaalice Sommi – dettaglio (clic per ingrandire).
Andreaalice Sommi – dettaglio (clic per ingrandire).
Manuel Glira – dettaglio (clic per ingrandire).
Manuel Glira – dettaglio (clic per ingrandire).
Erika Feraboli - dettaglio (clic per ingrandire).
Erika Feraboli – dettaglio (clic per ingrandire).
Elena Capponi – dettaglio (clic per ingrandire).
Elena Capponi – dettaglio (clic per ingrandire).
Elisa Ambroso - dettaglio (clic per ingrandire).
Elisa Ambroso – dettaglio (clic per ingrandire).
Silvia Teodonio - dettaglio (clic per ingrandire).
Silvia Teodonio – dettaglio (clic per ingrandire).
Paola Zadra – dettaglio (clic per ingrandire).
Paola Zadra – dettaglio (clic per ingrandire).

Che dire? Grazie a tutti, ragazzi. Fiero di avervi incontrato in due classi come queste. Sfida superata, direi – da voi per primi, da me a seguire. Ho imparato tanto. Soprattutto: fatti, non parole. Buona estate, arrivederci a ottobre. Occhio: l’anno prossimo – Trama sfumata. Una brutta bestia, credetemi.

MO

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