Photoshop: una luce, un’ombra – pt. 1

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Recentemente ho ricevuto una richiesta di chiarimenti su uno specifico argomento trattato nel mio videocorso di lettura del colore pubblicato da Teacher-in-a-Box. È una domanda che sembra ripetersi periodicamente: come individuare correttamente i punti di luce e i punti d’ombra in una fotografia? Ho deciso di scrivere questo post per cercare di dare una trattazione sistematica ed esaustiva dell’argomento con degli esempi pratici. Come sempre, applico la mia filosofia di base: insegnare qualcosa senza motivare il perché questa cosa si debba fare è controproducente. Allora andiamo a monte del problema e iniziamo con una domanda più fondamentale di quella riportata sopra.

Perché abbiamo bisogno di un punto di luce e di un punto d’ombra?

Partiamo da una necessaria definizione. Una sorgente luminosa emette luce e la luce ha una determinata intensità. Il rapporto tra l’intensità luminosa emessa verso una superficie perpendicolare alla direzione del flusso luminoso e l’area della superficie stessa prende il nome di luminanza. Si tratta di una grandezza fotometrica molto importante perché è legata al fattore di contrasto, del quale parlerò a breve. Da un punto di vista intuitivo la luminanza definisce quanto brillante appare una certa superficie. Per darvi un’idea, il display di un computer ha una luminanza dell’ordine di 100÷400 cd/m(candele per metro quadrato), mentre il sole a mezzogiorno ha una luminanza dell’ordine di 1.600.000.000 cd/m2.

L’occhio umano è in grado di adattarsi a intensità luminose che cadono all’interno di un intervallo estremamente ampio. Il fattore di contrasto a cui accennavo poco fa è il rapporto tra la massima e la minima luminanza che un certo sistema è in grado di produrre: nel caso di un monitor, ad esempio, il rapporto tra la massima luminosità possibile (il bianco) e la minima (il nero). Questa quantità è legata intimamente al range dinamico, che è il rapporto tra la massima e la minima luminanza percepibile da un certo dispositivo, o da esso riproducibile.

Facciamo qualche esempio. L’occhio umano è di fatto in grado di leggere alla luce delle sole stelle, pur senza visione cromatica; è anche in grado di vedere in pieno deserto a mezzogiorno quando il sole è a picco. Sono due condizioni di illuminazione estreme, che grosso modo definiscono il range dinamico dell’occhio: con meno luce di quella notturna non riusciamo più a vedere, con più luce di quella del deserto la retina si può bruciare. Il rapporto approssimato tra questi due valori di luminanza è enorme: 1.000.000.000:1. Una fotocamera con un sensore di ultima generazione può coprire un range dinamico pari a 10.000:1 circa; un buon monitor, a 1000:1; una stampa fine-art di qualità medio-alta a 100:1; e una stampa su carta di giornale a 40:1. I valori, naturalmente, sono molto indicativi.

È piuttosto comune, in una scena del mondo reale ad alto contrasto, riscontrare un range dinamico pari a 100.000:1. Già questo è enormemente più piccolo del range dinamico massimo che l’occhio può registrare, ma è comunque 10 volte più ampio di quello che una fotocamera di ottima qualità può restituirci; 100 volte più ampio di quello che un buon monitor ci può mostrare; 1.000 volte più ampio di quello che una stampa ci consente di riprodurre; e 2.500 volte più ampio di quello che possiamo sperare di ottenere da un quotidiano. Non dovrebbe sfuggirvi la vertiginosa prospettiva di queste cifre: siete abituati a vedere l’esterno di casa vostra con tutti i dintorni in pieno sole; se domani per qualche motivo una fotografia di quella scena finisse sul giornale locale, la situazione sarebbe rappresentata da numeri che fanno un po’ tremare i polsi. Rapportiamo per un momento l’informazione convogliata dalla luminanza a una lunghezza ipotetica, e diciamo che la luminanza della scena reale è “lunga venticinque metri”. Ora, prendete tutta questa informazione e comprimetela in modo che sia “lunga un centimetro”: il quotidiano sta alla realtà, in termini di informazione, come un centimetro sta a una lunghezza pari a un quarto di un campo da calcio. L’unica conclusione apparentemente possibile è che se riconoscete casa vostra sul giornale questo sia un puro miracolo.

Invece non è un miracolo: è una manifestazione di come funziona l’occhio umano. Con un sottoprodotto: il range dinamico è così prezioso che dobbiamo sfruttarlo al massimo, sempre o quasi. Questo fatto, citando un Dan Margulis un po’ sarcastico, è stato chiarissimo a tutti gli artisti grafici fin dagli albori della storia, salvo che ai fotografi del XXI secolo. E infatti, purtroppo, è proprio così: uno dei limiti che si riscontrano più frequentemente nelle immagini è la mancanza di un cosiddetto punto di luce (highlight) e di un punto d’ombra (shadow) scelti correttamente: e per “correttamente” s’intende in modo che il range dinamico dell’immagine possa essere opportunamente massimizzato. Se non imponiamo un range dinamico corretto, questo significa essenzialmente togliere contrasto a qualcosa che è già una pallida imitazione della realtà. Buttare via ciò che abbiamo di più prezioso è perlomeno stupido, oltre che dannoso, quindi cerchiamo di capire come si può affrontare il problema. Prima di lanciarci nella mischia, però, bisogna fare una precisazione importante: se per ragioni artistiche si decide di violare il principio della massimizzazione del contrasto, benissimo. Quello che abbiamo in mente qui è diverso: dare a chi guarda un’immagine una percezione simile a quella che avrebbe avuto se fosse stato presente nel momento in cui la fotografia è stata scattata. Questo non toglie nulla, naturalmente, alle interpretazioni creative dell’arte, in quanto si riferisce solo a un desiderio di realismo che, a ben guardare, sta alla base di tutta la Correzione del Colore.

Una considerazione per cominciare

Partiamo da una considerazione talmente banale che si rischia di darla per scontata: praticamente ogni scena ha un punto più chiaro e un punto più scuro. Con l’eccezione di una superficie opaca, di colore omogeneo e uniformemente illuminata al punto che possiamo considerarne costante la luminosità, ogni altra scena ha questa caratteristica.

Luna piena circondata da nuvole (Wikipedia).

Pensate a una fotografia della luna in un cielo notturno senza stelle. ll cielo è praticamente chiuso e non ha alcun dettaglio; la luna è invece chiarissima (e spesso bruciata!). Ci sono un punto più chiaro (o più punti) e un punto più scuro (o più punti). I mezzitoni sono praticamente assenti. Questa è una situazione ad altissimo contrasto, ma necessita comunque di un punto di luce e di un punto d’ombra. Pensate ora alla fotografia di una piuma bianca su una superficie bianca. La piuma è di per sé quasi invisibile, ma probabilmente proietta un qualche tipo di ombra: che è ciò che crea contrasto attorno a essa e la rende visibile. Questa è una situazione a contrasto estremamente basso: il soggetto e lo sfondo hanno quasi la stessa luminosità. Inoltre, essendo sia il soggetto che lo sfondo molto chiari questa è una classica fotografia high-key: magari portare al nero completo il punto d’ombra in questo caso non è la cosa più giusta da fare, ma abbiamo comunque un bisogno di punto d’ombra sensato o semplicemente non distingueremo il soggetto dallo sfondo.

Nella stragrande maggioranza delle immagini, però, il punto di luce e il punto d’ombra hanno dei valori canonici che andremo a discutere a breve. Non fissare questi valori, in genere, è un errore che si paga caro – soprattutto nelle mie classi. Andiamo a vedere perché con un esempio.

Un esempio semplice

Dove sono il punto di luce e il punto d’ombra? (© Ezio Auditore)

In questa foto inviatami da qualcuno che si firma con il nickname Ezio Auditore, l’autore afferma di non riuscire a impostare con sicurezza i punti di luce e di ombra. La prima cosa che dobbiamo fare, sempre, è andare a cercare il punto più chiaro significativo e il punto più scuro significativo, rispettivamente, dell’immagine. Cosa significa “significativo”? Significa che in quei punti vogliamo mantenere un qualche tipo di dettaglio, ovvero non bruciare completamente le luci e non chiudere completamente le ombre, a seconda del caso. Sta alla nostra osservazione e a certi ragionamenti che possiamo fare sull’immagine stabilire se un punto è significativo o meno. In ogni caso, un utile strumento per trovare facilmente i punti più luminosi è la regolazione Soglia.

La regolazione Soglia è dotata di un solo cursore il cui valore può essere impostato tra 1 (ombre) e 255 (luci). Il valore numerico del parametro è identico in tutti i metodi colore: le cose non cambiano se state lavorando in CMYK o Lab.

La regolazione Soglia in Photoshop CS6.

Se voi impostate il cursore a un certo valore, poniamo 47, quello che accadrà all’immagine è questo: tutti i punti dell’immagine la cui luminosità è strettamente minore di tale valore (quindi, da 0 a 46 compresi) diventeranno neri; tutti i punti dell’immagine la cui luminosità è uguale a o maggiore di tale valore (quindi, da 47 a 255) diventeranno bianchi. Il mio metodo standard per utilizzare questo strumento è il seguente: creo un livello di regolazione Soglia sopra lo sfondo e ne pongo l’opacità al 50%. Questo mi permette di vedere in maniera chiara l’immagine sottostante, e di capire a cosa si riferiscono le aree bianche e nere create da Soglia senza dover continuamente attivare e disattivare il livello.

La zona più chiara dell’immagine, in alto sul ramo.

Questa schermata di Photoshop (cliccate per ingrandire) dimostra questo metodo di utilizzo. Il cursore di Soglia è posizionato a 200, un valore di luminosità abbastanza elevato scelto spostando il cursore verso destra fino a che non restano solo poche chiare in tutta l’immagine. L’immagine è in generale più scura dell’originale perché quasi tutti i suoi punti hanno una luminosità inferiore al valore impostato, e questo fa diventare quasi tutto nero: l’opacità al 50% fa trasparire l’immagine, che però risulta più scura a causa dell’ampia area nera. Più scura, tranne in poche aree ben visibili, dove è appunto più chiara: in esse Soglia genera del bianco che, di nuovo, sovrapposto al 50% evidenzia le aree di interesse, quelle di massima luminosità dell’immagine. In generale non mi interessa un singolo punto, quanto una piccola area strutturata: in questo caso direi che la parte più chiara significativa si trova sul ramo della pianta in alto a destra. Se foste tentati dalle aree visibili nella parte più bassa della goccia al centro dell’immagine, lasciatele perdere: sono riflessi speculari, e i riflessi non vanno mai considerati come punti di luce, perché in generale non hanno alcun dettaglio significativo. Andremo quindi a porre un campionatore, non prima di avere selezionato la lettura del contagocce al canonico parametro “Media 3 x 3”, nel punto che ci interessa – l’area più chiara sul ramo.

Ora tocca alla zona più scura.

Questa schermata è analoga alla precedente. Il cursore di Soglia è posizionato su 8, e tutta l’immagine è più chiara, perché abbiamo isolato deliberatamente le aree più scure. Sono tre: due attorno al ramo, verso il centro, e una in alto a destra. Avrei potuto utilizzare delle aree più piccole, portando il cursore ancora più in basso: le prime aree strutturate appaiono attorno al valore 4. Non ho voluto farlo per un motivo che spiegherò nella seconda parte di questo articolo e che ha a che fare con possibili comportamenti anomali vicino ai punti di massima e di minima luminosità registrati da un sensore. Quale area sceglierò tra queste tre? Sostanzialmente è abbastanza indifferente, perché hanno la stessa luminosità. Prendo quella più in alto a destra: un bel campionatore colore nel centro e siamo a posto.

Ora, leggiamo i valori…

L’immagine con i due campionatori e il pannello Info.

Per comodità di lettura ho sovrapposto i numeri 1 e 2 all’immagine in prossimità dei campionatori. In basso a destra, il pannello Info: i valori per i due campionatori, letti nel colore reale RGB, sono rispettivamente 209R206G201B6R6G6B. Si tratta, rispettivamente, del punto di luce e del punto d’ombra. I loro valori canonici, come ben sapete, dovrebbero essere rispettivamente 245R245G245B e 10R10G10B: andiamo ad analizzare i valori reali rispetto a questi, ma prima vorrei spiegare perché nei valori canonici ci manteniamo a dieci punti di distanza dai valori estremi, che sarebbero rispettivamente 255 e 0 in tutti e tre i canali.

Ci sono almeno due motivi validi per questo. Il primo è che vogliamo mantenere un margine di sicurezza per eventuali altre manovre che andremo poi a fare in seguito, se necessario. Il secondo è più sottile ed è legato alla stampa, in particolare a quella tipografica ma non solo. L’equivalente CMYK di 245R245G245B è qualcosa di simile a 5C4M4Y0con una leggera dipendenza dal profilo che utilizziamo. Qualsiasi siano i numeri, però, l’importante è realizzare che non dobbiamo mai prendere 0C0M0Y0come punto più chiaro per la stampa tipografica. Questa formula indica la totale assenza d’inchiostro: ciò che si vede, in questo caso, è il bianco della carta. Se noi cercassimo di stampare una formula come 1C1M1Y0K probabilmente avremmo dei problemi: magari qualche condizione di stampa al limite della perfezione riuscirebbe a mettere una così minima quantità d’inchiostro sul foglio correttamente, ma la verità è che le lastre utilizzate in offset il più delle volte non riescono a mantenere una simile combinazione che implica punti d’inchiostro estremamente piccoli; e forse neppure una combinazione come 2C2M1Y0K. Il risultato è che, magari, l’inchiostro inizia a lavorare bene attorno a 3C3M2Y0o comunque numeri del genere; ma sotto questa quantità di fatto non viene depositato sulla carta. Nelle aree con troppo poco inchiostro si crea una specie di strappo: il passaggio dal bianco della carta all’inchiostrazione non è omogeneo, e si vede alle volte un vero e proprio foro nell’inchiostro. Per questo motivo la prassi è quella di depositare un colore neutro, per quanto tenue, al posto del “bianco carta” al fine di evitare questo spiacevolissimo effetto che può tranquillamente compromettere da solo una stampa altrimenti perfetta. La formula 5C4M4Y0è parecchio conservativa, ed è più comune utilizzare  3C2M2Y0(che, per inciso, corrisponderebbe a qualcosa di paragonabile a 249R249G249B), ma il sugo è che spingersi a fondoscala, utilizzando 255 in tutti i canali, ci darebbe una conversione in CMYK in cui gli inchiostri sarebbero rigorosamente a zero in tutte le lastre, e questo va evitato a meno che non si tratti di aree estremamente piccole in cui l’effetto descritto poco fa sia irrilevante. Per le stampanti a getto d’inchiostro, anche se il file che viene dato loro in pasto è RGB, vale lo stesso principio di massima, anche se i problemi sono di solito meno gravi: avviene comunque una conversione in CMYK e di nuovo la massima luminosità possibile in RGB può solo corrispondere alla totale assenza di inchiostro o pigmento, che di nuovo è indesiderabile per i motivi esposti.

Ma sono neutri…?

Perché imponiamo la neutralità, di norma, ai punti di luce e di ombra? Essenzialmente per due motivi. Il primo è che un punto di luce propriamente inteso è il punto più luminoso (significativo!) di un’immagine, e ci sono elevate probabilità che esso sia bianco. Un oggetto ci appare bianco perché non assorbe luce; e se un oggetto assorbe anche una minima quantità di luce ovviamente ci appare più scuro, anche se magari di pochissimo, rispetto a un oggetto che la riflette o diffonde completamente. Esiste indubbiamente la possibilità che il punto più luminoso non sia bianco, perché magari non ci sono oggetti neutri e ben illuminati nell’immagine. Ma la prima scommessa è che lo sia; e spesso questo punto, pur non essendo neutro in senso stretto, è così vicino alla neutralità che riusciamo a bluffare e a dichiararlo neutro anche se magari non lo è al 100%. In altri casi non è così, ma, ripeto, questa è la prima scommessa – e l’esperienza insegna che spesso è vincente. Il secondo motivo è che un punto d’ombra magari non è neutro, ma è così scuro per il nostro occhio che tendiamo a percepirlo come tale. Discrepanze di pochissimi punti in RGB non ci devono preoccupare troppo: se, ad esempio, il canale B è due punti più alto degli altri possiamo anche lasciar correre. Ma in generale, anche quando sappiamo che l’oggetto rappresentato ha un colore, lo consideriamo neutro perché il colore è praticamente irrilevante per il nostro occhio.

L’analisi della nostra immagine

In questo caso, la situazione è la seguente. Il punto di luce misura 209R206G201B e palesemente non è neutro: tecnicamente è giallino. Vogliamo provare a portarlo al suo valore canonico? Certamente sì: è la nostra scommessa. Si tratta di un punto sfocato su un ramo molto chiaro, e mentre con ogni probabilità quel ramo non è né blu né rosso scarlatto ci sono diversi motivi per poterlo immaginare biancastro. In ogni caso, proviamo: se tutti i colori dell’immagine si sballano questo sarà un sintomo del fatto che avremo sbagliato il colore del punto di luce; ma se i colori non si ribellano, il problema non si pone. Dall’altro lato, il punto d’ombra misura 6R6G6B e ci chiediamo se vogliamo portarlo al valore canonico di 10 in tutti i canali. La mia risposta è no: se vogliamo possiamo farlo, ma in questo caso non ha molto senso. Il punto si riferisce a un’area sfocata sullo sfondo, su cui vale anche la pena di fare una considerazione che esporrò tra breve: che valga 10 o 6 dal mio punto di vista è irrilevante, e non mi va di perdere un po’ di contrasto per un’area in cui non ho nulla da guadagnare. Potrei addirittura spingermi a 0 in tutti i canali, in un caso simile, ma non lo faccio per principio. Morale: lo lascio come sta. Il punto d’ombra per quanto mi riguarda è a posto.

Come impostare i punti correttamente

La considerazione a cui accennavo è questa: noi sappiamo cosa c’è sullo sfondo. Quel punto d’ombra, con ogni probabilità, cade dove l’occhio avrebbe visto delle foglie. E le foglie sono verdi, non neutre – quasi nere, in questo caso. Questo ci preoccupa? No, nella maniera più assoluta, per il motivo che abbiamo esposto prima. La fotocamera si è preoccupata di rendere questo colore molto scuro già neutro per noi, e la cosa non ci disturba affatto. Quindi, procediamo.

L’immagine con il punto di luce modificato.

Quella che vedete qui a fianco è la versione dell’immagine con il punto di luce modificato. Tutti i valori del campionatore #1 sono stati portati a 245 tranne quello nel canale B, che è a 244 per problemi di risoluzione della curva: potevo scegliere tra 244 e 246, perché 245 non era raggungibile, e per quel che vale ho preferito un punto di blu in meno per rendere il rametto un filo più giallo. I valori del campionatore #2 sono passati da 6 a 7 in tutti i canali a causa dello spostamento delle curve nell’area del punto di luce: e mi sta bene così.

Sono corretti i colori dell’immagine? Ho misurato il colore delle foglie, che è in pratica l’unico noto in questa fotografia, in diversi punti delle stesse, diversamente illuminati e quindi assai diversi per luminosità e saturazione. Ho ottenuto questi valori nei canali a e b di Lab (vi ricordo che la parentesi attorno a un numero indica che lo stesso è negativo): (17)a31b, (28)a69b, (14)a20b, (25)a48b. La regola per il colore della vegetazione è la seguente: dobbiamo avere a < 0, b > 0 e b compreso tra a e 3a (considerando il valore di a senza il segno). Tutti e quattro questi valori rispettano in pieno la formula, e non sembra esserci un solo punto in cui il verde sia anomalo: quindi posso concludere che i colori sono perfettamente accettabili.

Resta la domanda finale: l’immagine con i corretti punti di luce e di ombra è migliore dell’originale? Per vostra comodità, ecco qui un prima/dopo di confronto.

Prima e dopo: sopra, l’immagine originale; sotto, la versione con punti di luce e di ombra corretti.

Personalmente non nutro alcun dubbio: la versione in basso è la migliore perché sfrutta meglio il range dinamico disponibile; non stiamo buttando via informazioni che sono già preziosissime e fragili di per sé. La versione con il punto di luce corretto (il punto d’ombra era già di fatto a posto) è più luminosa, più contrastata, presenta maggiore plasticità e dettaglio.

Conclusione, almeno per ora: impostare un punto di luce e un punto d’ombra corretti è semplice, e non farlo è un grave errore. Nella seconda parte di questo articolo vi mostrerò altri casi in cui è necessario stare attenti, ma per ora questo è, spero, un buon inizio. Provate a fare lo stesso sulle vostre immagini e valutate la differenza.

A presto!

MO

9 commenti su “Photoshop: una luce, un’ombra – pt. 1”

  1. Per i fotografi che arrivano dall’analogico e che hanno studiato il sistema zonale di Ansel Adams i ragionamenti sul punto luce e il punto d’ombra non sono una novità. Per Adams questo è un aspetto fondamentale in ogni fase della realizzazione fotografica. E le sue spigazioni sono all’altezza delle sue fotografie.
    Se Adams fose in vita e leggesse questo articolo ti farebbe i complimenti. In alcuni punti mi pare di leggere le sue parole inserite nell’ambito della tecnologia attuale. È un articolo che andrebbe studiato nelle scuole di fotografia. Come altri che hai scritto. Leggo sempre volentieeri i tuoi scritti e questo spazio è davvero importante. Ma a me piace leggerli anche su carta. Si possono avere dei pdf di questi articoli?
    Ancora complimenti e grazie.
    Luca

    1. Luca, ti ringrazio davvero delle tue parole: si fa meglio che si può ed è confortante avere un riscontro. Questi articoli nascono da sollecitazioni esterne, spesso, ma soprattutto contengono cose su cui ho rimuginato a lungo. Sono composti in WordPress, per cui temo che la via più semplice per stamparli sia salvare la pagina come pdf – diverse utilities permettono di farlo.
      A proposito di Adams, rilancio con una citazione dal fondamentale articolo “The Structure of Images” pubblicato nel 1984 da Jan J. Koenderink, un eclettico studioso olandese. L’argomento principale dell’articolo è l’analisi del dettaglio rispetto alla scala globale dell’immagine, ma questo specifico argomento dei punti di luce e di ombra è intimamente legato a questo aspetto, a ben guardare. Cito senza permesso: “Il risultato è che qualsiasi immagine può essere espressa come un insieme di blobs chiari e scuri, giustapposti e nidificati, all’interno del quale ogni blob ha un range limitato di risoluzione entro il quale si manifesta.”
      Da qui nasce in sostanza tutta la teoria della decomposizione piramidale delle immagini, del dettaglio percepito e del ruolo fondamentale della sfocatura gaussiana nel rivelarlo ed enfatizzarlo. Affascinante, e incredibilmente legato al contrasto locale, il cui “livello zero” – in tutti i sensi – è proprio dipendente dall’individuazione dei punti di luce e di ombra.
      Grazie ancora!

  2. Mi accodo ai complimenti di Luca Negri e concordo con lui sul sistema zonale di Adams.
    In questi giorni sto riscoprendo mie vecchie foto lasciate nei meandri dei miei HD perchè all’epoca non sapevo gestirle correttamente e adesso invece, grazie a ciò che ho imparato nel mio piccolo al CCC, riesco a tirare fuori l’immagine che avevo previsualizzato al momento dello scatto. Il passaggio del punto chiaro e scuro è fondamentale, da esso dipende la buona riuscita delle successive correzioni. Se sbaglio, e succede a volte, a selezionare un punto anzichè un altro, il risultato esplode immediatamente, già durante le curve.
    Per chi viene dalla fotografia analogica come il sottoscritto, lo scoglio più grande è proprio questo, capire questa sorta di sistema zonale fatto con il Pc e non in camera oscura. Una volta capito che Ps è niente altro che una camera chiara per le nostre foto, si ingrana la marcia e si da uno scossone alle nostre foto, rivoluzionando, come è successo a me, il nostro modo di pensare la fotografia e di riproporla agli occhi degli altri.
    Grazie Marco.

  3. Anch’io ti faccio i piu’ sentiti complimenti. Sempre un piacere leggerti, ma soprattutto utilissimo! 😉

  4. Caro MO, io sono più impulsivo e benché i miei quasi 29 anni seguo l’istinto puerile che c’è in me. Detto ciò.

    TI ADORO!

    Sono argomenti che avevo già letto ma in lingua americana e dato il mio limite coi termini tecnici ero rimasto un po’ a forma di punto interrogativo per alcune parti che credevo di aver male interpretato. Mi hai chiarito tantissimo le idee..grazie!

  5. Da poco ho iniziato a leggere i tuoi articoli. E’ un piacere! Ci sono molte domande che mi piacerebbe fare…rimando al corso di Busto p.v. e nel frattempo mi vado a leggere anche Adams. Grazie!

    1. Grazie Fabrizio – scusa se non ho approvato subito il commento ma sono stato fuori questo week-end. Ci vediamo senz’altro a Busto Arsizio sabato – grazie mille e a presto!

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